Una volta almeno c’era una regola ferrea, alla quale ci eravamo abituati: Le Doc si bevevano, le Dop si mangiavano. Certo, il bere non era tutto uguale: le Docg si deglutivano più o meno allo stesso modo delle Doc, ma con più raccoglimento; mentre le Igt erano sempre da ingurgitarsi, ma in modo più disinvolto, anche se non di rado con maggiore soddisfazione.
C’eravamo perfino abituati al bizantinismo tutto italico che voleva che le Doc raggruppassero “vini a denominazione di origine controllata”, mentre le Docg quelli ove la denominazione d’origine, oltre che controllata, fosse anche garantita. Ovvero, sulle prime i controlli c’erano… ma non erano garantiti? Lasciamo perdere.
Ora invece, per azione dell’ultima Ocm (Organizzazione Comune di Mercato, ovvero l’insieme delle regole europee per ogni specifico settore, in questo caso il vino) quando ci proporranno un prodotto Dop o Igp non sapremmo se è mangereccio o bevereccio fino a che non ne tasteremo la consistenza. Apparentemente un bel guaio!
ANZITUTTO LA NORMA
L’Ocm vino ha tracciato i nuovi orizzonti della filiera vitivinicola per i prossimi anni; fondamentalmente ha deciso di sovvenzionare l’estirpo di 175.000 ettari di vigna nell’Ue, di limitare prima ed abolire poi le pratiche di distillazione dei vini, di limitare lo zuccheraggio, di far diminuire, per poi cessare, l’erogazione di alcuni aiuti, ecc.
Ma ciò di cui trattiamo è la serie di misure focalizzate sui consumatori. Si è puntato alla semplificazione, adottando norme più chiare e trasparenti ed in maggiore armonia con gli accordi internazionali sul commercio. Infatti, a far tempo dal primo agosto 2009, la classificazione dei vini europea viene ridotta a due tipologie: vini a indicazione geografica e vini senza indicazione geografica. Questi ultimi si suddivideranno in Igp e Dop.
Sono state introdotte anche nuove norme sull’etichettatura, per cui, a far tempo dalla stessa data, si prevede l’introduzione di un solo tipo di etichetta con le stesse diciture obbligatorie e facoltative per tutte le categorie di vino. Si è stabilito inoltre di permettere ai vini senza indicazione geografica (quelli che abbiamo sempre indicato come “vini da tavola”) di indicare in etichetta il vitigno e l’annata, seppur ad alcune condizioni. Ad esempio le attuali Doc costituite dal nome geografico accompagnato dalla varietà (ad esempio Vernaccia di San Gimignano, Sagrantino di Montefalco, Lambrusco di Sorbara e via di questo passo) potranno chiedere di escludere l’uso della stessa varietà in etichetta per i vini non a denominazione (per evitare che si crei confusione).
Altro fatto sostanziale è che la regia delle denominazioni passerà da Roma a Bruxelles, divenendo affare comunitario e non più solo nazionale.
I TIMORI DELLE CITTA' DEL VINO
Ma molti sono spaventati dalla radicale modifica che subirà il nostro sistema delle denominazioni. “Condanna a morte per numerose e importanti denominazioni del bel paese enoico, con l’entrata in vigore del sistema di classificazione dei vini previsto dalla commissione europea” titola un comunicato veicolato il 22 agosto scorso dalle Città del vino, l’associazione che raggruppa oltre 500 comuni italiani in cui la vitivinicoltura ha un ruolo rilevante.
Il suo presidente Valentino Valentini ha ufficialmente chiesto al ministro delle politiche agricole Luca Zaia di intervenire sulla Commissione europea per ritardare l’entrata in vigore della nuova classificazione. Si paventa la perdita di gran parte del patrimonio culturale-produttivo del Paese, con il passaggio dalle attuali 470 tra Docg, Doc, Igt (dati Mipaf al 31/12/2007) a circa 182 tra Dop e Igp. Questo perché – sostengono alcuni – la nuova classificazione, ispirata a quella che oggi tutela le produzioni tipiche agroalimentari, imporrà ad un territorio una sola Dop o Igp, così che, solo per fare un esempio, a Montalcino la Dop Brunello cancellerà le Doc Rosso di Montalcino, Sant’Antimo e Moscadello. Niente più sottozone o menzioni aggiuntive ma un’unica Dop, con il risultato, prendendo ad esempio il Chianti, della scomparsa del Chianti Rufina, Chianti Montespertoli, Chianti Colline Senesi, eccetera. Non sarebbe inoltre più nemmeno possibile il meccanismo delle scelte vendemmiali, ovvero quello che attualmente prevede in annate particolarmente sfavorevoli di declassare i vini da Docg a Doc o a Igt.
MA PER FEDERDOC E MINISTERO NON E' ALLARME
Questa la posizione di Città del Vino, ad onor del vero non l’unica preoccupata dai cambiamenti possibili. Non così la pensa Federdoc che, per bocca del suo presidente Riccardo Ricci Curbastro, intervistato da Fabio Piccoli sul numero 38 dell’Informatore Agrario, assicura che il meccanismo previsto dalla nuova Ocm vino non comporterà il dimezzamento delle denominazioni italiane, che avranno solo l’onere di iscriversi a Bruxelles come Dop, conservando ogni diritto ad oggi acquisito. L’unico vero pericolo, sempre secondo Ricci Curbastro, sarebbe un allungamento dei tempi per il riconoscimento di nuove denominazioni, in futuro.
Altra netta smentita, si legge sullo stesso articolo, è venuta dal ministero delle politiche agricole, che in un comunicato ha chiarito come non abbiano alcun fondamento giuridico le notizie allarmistiche che si stanno diffondendo riguardo all’impatto dell’Ocm vino sulle nostre Doc. “Infatti – è spiegato nel comunicato del Mipaaf – l’articolo 54 paragrafo 1, lettera a) del regolamento 479/2008, che entrerà in vigore dal 1° agosto 2009, stabilisce che le menzioni tradizionali potranno essere utilizzate per indicare che il prodotto reca una Dop o Igp in loro sostituzione (ciò significa che anche la sigla Doc dovrebbe rimanere). La scelta di avere una lista unica sotto il cappello di Dop e Igp può rappresentare un’ulteriore garanzia di tutela dei nostri marchi territoriali a livello internazionale”.
“Qualche problema – prosegue Ricci Curbastro – potrebbe venire nel passaggio da Igt a Igp. Nel primo caso, infatti, non si ha attualmente nessun tipo di certificazione e, considerando che la nuova Ocm consentirà la menzione anche dell’annata e del vitigno sui vini da tavola, questo potrebbe creare difficoltà”.
IL VERO PROBLEMA POTREBBE ESSERE UN ALTRO…
Al di la della riduzione vera o presunta di molte Doc italiane (se fosse vera non potremmo che rallegrarcene; abbiamo sempre detto che sono troppe) è proprio la possibilità di indicare vitigno ed annata in etichetta nei vini da tavola a far tremare molte denominazioni. Infatti, con l’avvento della moda anglosassone di denominare i vini con i nomi di vitigno, alcuni produttori hanno optato per Doc e Igt unicamente per poter dare ai propri consumatori questa informazione aggiuntiva. Informazione che, fra l’altro, funziona benissimo dal punto di vista del marketing ed è immediatamente comprensibile; cosa che non accade per i nomi di territorio che sono sconosciuti ai più.
Infatti, nel sempre più complesso mondo del vino, con etichette ridondanti di informazioni poche delle quali utili, il consumatore ha chiaramente scelto di fare affidamento soprattutto sul nome varietale per poter intuire, a priori, il contenuto della bottiglia che si appresta a comprare (con Cabernet sa di trovarsi di fronte ad un vino rosso robusto ed alcolico, con Pinot Nero ad un rosso più elegante e meno intenso, con Sauvignon ad un bianco secco e aromatico, e così via). Per questo motivo la Doc (unitamente alla Igt) era divenuto un passaggio obbligato per molti produttori (solo così potevano dichiarare in etichetta la varietà), ma obtorto collo.
Dato che stare nel sistema delle denominazioni costa più che produrre vini da tavola (pratiche burocratiche, analisi chimiche, commissioni di degustazione e altro ancora) se anche questi ultimi potranno indicare vitigno ed annata in etichetta, il castello (spesso di carta, come quella, inutile, che fanno produrre ai vitivinicoltori) delle Doc, e di rimbalzo i consorzi, potrebbe crollare. Questa è – a mio sindacabilissimo giudizio – la vera preoccupazione di molti che, con tali strutture, ci campano.
Unica chance per le denominazioni, e qui io vedo la positività che molti non vedono, sarebbe quella, finalmente, di aumentare la diversità fra loro ed i vini da tavola. Anzitutto fornendo, finalmente, la vera garanzia dei requisiti minimi di legge; ovvero territorialità, rese e metodi di coltivazione, vitigni impiegati, pratiche enologiche. Atto dovuto ma che anche i recenti avvenimenti (Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano i più famosi) dimostrano non così scontato. Poi, potrebbero aggiungere anche degli standard minimi di altra natura, quali quelli etici, ambientali e riguardo la qualità percepita. Il che non sarebbe male.