22/01/2009
Pare che sia impopolare in questo momento storico pronunciarsi a favore del normale consumo del vino.
L’aria di fronda, di giustizialismo, di caccia alle streghe, non è quella in cui consentirsi, senza pericolo di fraintendimenti, né pacate, né appassionate difese della “moderata assunzione”.
Oggi, per legge, ubriachi sono ormai tutti coloro che avvicinano un bicchiere alle labbra.
La tolleranza è davvero pari a zero.
A Bologna, per esempio, è vietato persino tenere un calice in mano fuori dal locale, con buona pace della leggendaria storia delle antiche osterie cittadine…
Il clima persecutorio che si sta instaurando mi spaventa, così come mi spaventa ogni crociata vestita di moralismi e di falsi intenti sociali: una società evoluta non reprime. Educa.
Ma un’altra cosa mi lascia quantomeno perplessa: il sostanziale silenzio dei produttori e, cosa ancora più preoccupante, quello dei ristoratori, vissuti ormai nel sentire collettivo come spacciatori di sostanze pericolose per sé e per gli altri. Non dispensatori di un condivisibile piacere conviviale e di cultura della tavola, bensì istigatori alla trasgressione e potenziali complici di una azione delittuosa.
Nel contesto generale mi stupisce anche che passi sotto silenzio la diversa misura con cui si tratta l’industria dell’auto, privilegiata rispetto all’industria enologica: si vendono come assolutamente legali, malgrado l’esistenza di leggi contro la velocità, auto potentissime che vanno in mano a chiunque se le possa permettere, mentre è punito preventivamente chiunque venga pizzicato con il fatidico 0,5 (tra poco 0,2?) nel sangue, anche se va piano, guida con prudenza e conduce una macchina di piccola cilindrata. Ossia, in uno stato che si definisce garantista, si punisce non già il “crimine” quanto la possibilità anche remota di commetterlo.
E dire che in un periodo di minore consumo del vino, dovuto sia alla crisi economica che, innegabilmente, alla campagna anti-alcol messa in atto con tanto tanto esasperato rigore, (ma senza troppa distinzione tra alcol da sballo e alcol contenuto in un prodotto che è parte integrante della tradizione culturale e colturale italiana), dovrebbe essere fondamentale adoperarsi ancora di più perché questo nostro patrimonio straordinario non diventi il capro espiatorio di politiche palesemente discriminanti.
Il vino sta pagando prezzi non suoi e paga soprattutto la mancanza di una coscienza collettiva che insegni l’amore e il rispetto per questo grande prodotto di civiltà e di benessere inteso in senso lato.
A questo punto – così com’era consentito ai medici di girare per la città anche durante il coprifuoco – rivendico il diritto ad avere un patentino che mi consenta di svolgere il mio lavoro (comprendente anche le degustazioni di vino) almeno fino a quando non risulti comprovato che io possa commettere danni contro la società.
Sarà o no un mio diritto svolgere normalmente il mio onesto lavoro?