La Città Italiana del Vino 2022 è Duino Aurisina, borgo in provincia di Trieste ai confini con la Slovenia.
Una scelta, quella della commissione aggiudicatrice, dettata da motivazioni sicuramente tecniche e rispondenti ai parametri di riferimento per tale ambito titolo. Difficile però escludere che tale indicazione non abbia risentito dei miasmi sollevati dalla prolungata querelle fra Italia e Croazia a proposito della denominazione del Prosecco. Com’è noto, infatti, Zagabria ha presentato qualche tempo fa alla Commissione dell’Unione Europea la richiesta di riconoscimento del Prošek, un vino fermo dai riflessi ambrati assai simile a un passito. Impossibile non pensare ad una manovra promozionale giocata sulle assonanze, nella speranza che lo straordinario successo del Prosecco italiano possa accendere una luce anche sul vino croato che, per le sue caratteristiche specifiche, non ha nulla da spartire con le bollicine prodotte nella zona di Conegliano e Valdobbiadene, diventata da poco – giova ricordarlo – Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Prosecco e Prošek sono due tipologie di vino completamente differenti, due processi produttivi del tutto distinti, due ambiti commerciali assolutamente incomparabili: è su questi presupposti che lo stato italiano ha subito opposto resistenza, chiedendo alle autorità europee di non avallare una decisione che rischierebbe di creare grande confusione soprattutto nei consumatori poco esperti, per i quali la semplice assonanza Prošek-Prosecco potrebbe essere sufficiente per acquisti disinvolti. Nuovo, pericoloso esempio, insomma, di italian sounding, procedura in base alla quale si cerca di attribuire ad un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze di uno italiano per poterlo vendere più agevolmente. I toni della polemica si sono subito fatti caldissimi e hanno rischiato di minare i rapporti commerciali e diplomatici fra Italia e Croazia.
Ecco perché alcuni esperti hanno pensato che la scelta di Duino, a discapito delle altre due candidate al titolo, l’agrigentina Menfi e la piacentina Ziano, sia stata fatta anche per provare a stemperare un po’ il clima, ferme restando le motivazioni alla base dell’incoronazione sulle quali anzi nessuno si è permesso di eccepire alcunché.
Nella decisione finale ha infatti giocato un ruolo decisivo la forte condivisione di Duino con gli altri territori delle Città del Vino del Friuli Venezia Giulia secondo principi volti a superare i confini comunali all’insegna di un forte messaggio inclusivo e partecipativo. Il comune triestino si è inoltre impegnato a mettere in rete anche i vicini comuni transfrontalieri di Slovenia e Croazia, secondo un’ottica di inclusione europeista che non può non fare riferimento anche alla spinosa faccenda del Prošek.
Al miele, non a caso, le parole di Floriano Zambon, presidente dell’associazione Città del Vino: «Il riconoscimento a Duino Aurisina – ha infatti commentato – ha un altissimo valore anche in un’ottica di collaborazione europea tra Paesi vicini e confinanti. Il Carso è sempre stato un territorio di commistione tra lingue e culture diverse e il titolo di Città Italiana del Vino 2022 è anche un omaggio a una condivisione di valori e di reciproca collaborazione tra territori differenti.
Si tratta della conferma del fatto che l’enoturismo e la difesa delle economie locali sono grandi temi di unione e confronto», non certo di scontro.
Tutto sta ora nel verificare quanto questa mano tesa potrà incidere sulla risoluzione della contesa che ha ormai preso la strada delle carte bollate. Una faccenda totalmente linguistica, peraltro, visto che i due vini non possono essere più diversi fra loro: impossibile confondersi, secondo i produttori croati, visto che il loro vino da dessert prodotto in Dalmazia meridionale con uve bogdanuša, maraština e vugava non può essere scambiato con quel nettare aureo e frizzante realizzato con uve Glera nella Marca trevigiana.
Una posizione sostenuta anche da Jakša Petric, direttore del dipartimento croato per la politica agricola: «ll Prošek – ha chiarito – è molto importante per le comunità locali in quanto parte del loro patrimonio storico, culturale e gastronomico. La protezione richiesta a livello europeo avrà soltanto un valore aggiunto per i produttori. Non c’è nessun motivo per credere che qualcuno, volendo comprare un Prosecco, per errore scelga invece un Prošek».
A farne una questione di principio e di più ampio respiro sono invece i viticoltori italiani, poco disposti a scendere a patti: «Qui si tratta di salvaguardare i principi che sono alla base del sistema delle Indicazioni Geografiche – hanno dichiarato congiuntamente i presidenti dei tre consorzi coinvolti nella polemica, Ugo Zamperoni, Elvira Bortolomiol e Stefano Zanette – A essere sotto attacco non è solo il nostro prodotto, ma l’intero mondo delle Denominazioni di Origine».
Per questo si è mossa anche Federdoc, la confederazione nazionale dei consorzi di tutela delle denominazioni dei vini italiani, che ha depositato un atto formale di opposizione contro la domanda di riconoscimento della definizione Prošek da parte dei croati.
Secondo il presidente, Riccardo Ricci Curbastro, si tratterebbe di un pericoloso precedente, che rischia di mettere in discussione l’intero sistema faticosamente difeso fino ad oggi. «Le motivazioni storico-culturali addotte dalla Croazia – ha dichiarato – non sono certamente un presupposto valido per autorizzare un iter che avrebbe, tra le altre cose, l’effetto di creare un evidente stato di confusione presso i consumatori.
Il no al riconoscimento del Prošek è quanto mai opportuno e necessario per delineare precisi confini e zone di rispetto che non vanno oltrepassati».
Una posizione durissima, che fa certamente passare in secondo piano la nomina di Duino a Città del Vino per il 2022 e il suo messaggio di inclusione e partecipazione.
[Questo articolo è un estratto del numero di Settembre-Ottobre 2022 de La Madia Travelfood. Leggi gli altri articoli online oppure abbonati alla rivista cartacea!]