ERBALUCE: dagli spumanti di Cieck ai longevi fermi di Orsolani
La produzione di Erbaluce si concentra in particolare nel Canavese (Torino). Un vitigno che si presta bene alla spumantizzazione con il metodo classico, ciò soprattutto per la sua acidità; olfattivamente è dotato di precursori aromatici di matrice minerale che si esprimono dopo lunghe soste sui lieviti.
Oggi si producono circa 1,2 milioni di bottiglie di bollicine a base Erbaluce, che vedono protagoniste soprattutto due aziende: Orsolani e Cieck, entrambe realtà di San Giorgio Canavese (Torino).
Il Calliope di quest’ultima, dopo anni di sperimentazioni a partire dal 1985, affina per 36-42 mesi sur lies, ha contenuto dosaggio ed è caratterizzato dalla tipica, vibrante freschezza della cultivar. Base di partenza sono una selezione di uve raccolte a mano, pressate in modo soffice per ottenere un mosto-fiore di grande qualità, opportunamente “flottato” per un suo perfetto illimpidimento; la fermentazione si svolge a 15-17 °C, per l’80% in acciaio e il 20% in barrique di primo e secondo passaggio; nell’aprile seguente la vendemmia si assemblano le cuvée, poi “tirate” a maggio.
La già citata Orsolani è tra le punte d’eccellenza della denominazione, distinguendosi per la longevità dei suoi Erbaluce.
“Per quattro generazioni, a partire dal 1894, la mia famiglia – spiega Gigi Orsolani – coltiva e vinifica questo grande vitigno; una lunga esperienza che ci ha permesso di sperimentare e migliorare le diverse tipologie espressione di quest’uva: oggi l’Erbaluce è l’unica varietà, a Docg e in purezza, per la quale è prevista la versione bianca secca, passita e spumante.
È dal 1968 che produciamo bollicine con questa bacca; una scelta all’epoca poco condivisa, ma che oggi possiamo definire di grande lungimiranza”.
Dal 1985 Orsolani seleziona le uve da dedicare alle diverse tipologie; per esempio il La Rustia è un esempio di longevità; dal 1990 il passito Sulè lo si vinifica in assenza di scolmo nella botte: ciò gli permette di resistere anche in condizioni ossidative che tenderebbero a banalizzarlo.
L’ultimo nato è il Vintage, con lo scopo di proporre un vino capace di confrontarsi coi più grandi bianchi internazionali; per ottenerlo “abbiamo cambiato il sesto d’impianto tradizionale e il sistema di vinificazione, dopo 12 anni di sperimentazioni”.
NASCETTA: vitigno di Novello, da Cogno recuperato e rilanciato
Pare assodato che Novello (Cuneo) sia il pae-se natale di questa cultivar, da subito considerata bacca importante visto che in passato è stata paragonata al Riesling Renano e al Moscato, ma anche difficile da tradursi in vini di qualità; ciò per la sua maturazione molto tardiva, una predisposizione alla botrite e una maturazione dei tralci difficoltosa e variabile.
Date tali difficoltà, col ‘900 le tracce della Nascetta si fanno più labili fin quasi a scomparire negli anni ‘80. Ma nel 1991 il professor Armando Gambera si imbatte nell’ultima partita di Nascetta vinificata come Fantini e Gagna avevano descritto. “(…) l’incontro più interessante – racconta Gambera – l’ebbi a casa di Franco Marengo dei Ciocchini, di fronte all’ultima bottiglia di una Nascetta 1983. Al naso si percepiva un delicato sentore di iris e di fiori d’acacia, mentre in bocca prorompeva con sicurezza il miele. Si trattava di un vino dolce e tranquillo dal giallo dorato vivo e smagliante, proveniente da un’unica partita di una cinquantina di litri da uve Nascetta vinificate in purezza.
Con me c’era Elvio Cogno: entrambi pensammo al vino di Sauternes”. All’appuntamento c’è anche Valter Fissore, genero di Elvio, che si convince delle peculiarità del vitigno e della sua importante struttura, dando il via ai primi tentativi di vinificazione in purezza. La prima vendemmia targata Cogno è del 1994, con l’indicazione del vitigno in etichetta (scritto dialettalmente “Nas-cetta”), menzione poi vietata quando la varietà entra a far parte del catalogo delle cultivar autorizzate per la Doc Langhe e di conseguenza non più indicabile in riferimento a un vino da tavola. I passaggi intermedi prima dell’ambìto ottenimento della Doc Langhe Nascetta di Novello sono stati numerosi, come la classificazione della Nascetta nella generica Doc Langhe nel 2002 e, nel 2004, l’ottenimento della Doc Langhe Bianco senza però ancora la possibilità di indicare il vitigno in etichetta.
Dopo un lungo cammino, nel 2010 viene finalmente riconosciuta la Doc Langhe Nascetta del Comune di Novello.
Oggi Cogno può contare su di una superficie vitata a Nascetta di circa 2,5 ettari.
PELAVERGA: il più espressivo è quello di Verduno
Paladina del Verduno Pelaverga Doc può essere considerata l’azienda Comm. G.B. Burlotto di Verduno. Spiega l’enologo e patron Fabio Alessandria: “Un tempo si pensava vi fosse un solo tipo di Pelaverga, ma trent’anni fa uno studio appurò delle differenze fra quello di Verduno (Pelaverga Piccolo) e quello delle Colline Saluzzesi (Grosso), probabilmente per una mutazione genetica spontanea. Prima di questa scoperta si attribuivano i diversi caratteri del Pelaverga al terroir, ma verificato che si tratta di due cloni differenti, ecco che i tratti distintivi del nostro Verduno si differenziano da quelli di Saluzzo anche per la diversità dei vitigni”.
Quali le differenze fra le due versioni?
Ben le spiega Fabio: “Il nostro Pelaverga unisce piacevolezza a carattere; al naso sa di pepe, fragoline ed erbe aromatiche; a tratti si fa anche floreale. Un vino beverino ma ricco di complessità; tanto è vero che in bocca ha polpa, alcol, ma anche una corroborante freschezza. Un nettare ‘gastronomico’ perfetto con pesci importanti, primi piatti al ragù e carni bianche. Senza nulla togliere a quello saluzzese, quest’ultimo è meno complesso, meno strutturato, più semplice e immediato”.
Ci si potrebbe domandare, date tali caratteristiche di piacevolezza, come mai la sua diffusione sia così contenuta: “In verità, dagli anni ‘80 il Verduno Pelaverga sta avendo un lento ma costante sviluppo; il problema è che la Doc è poco estesa e più di tanto la produzione non può essere aumentata, oltre al fatto che a Verduno non esistono aziende di grandi dimensioni.
Va pure ricordato che negli anni ‘70 il vitigno era quasi estinto; lo vinificavamo solo noi, in quantità simboliche, per poi essere rilanciato successivamente negli anni ‘80 grazie agli studi dell’Università di Torino in collaborazione con il Seminario Permanente Luigi Veronelli. Oggi gli ettari complessivi dedicati al Verduno Pelaverga sono 17, per una produzione di 140.000 bottiglie; personalmente possediamo 2,5 ha e ne produciamo 20.000 esemplari”.
Ma si tratta di un vino anche longevo?
“Per noi ‘langhetti’, longevità è sinonimo di Nebbiolo; detto ciò, si tratta di un prodotto da cogliersi al meglio nei primi 3-4 anni di vita, ma che può positivamente evolvere anche per molti più anni se le vendemmie sono favorevoli”.
RUCHÉ: Montalbera ci ha creduto
L’azienda Montalbera di Castagnole Monferrato crede da sempre nel Ruchè e nella sua unicità. Per questo si è scelto di investire in una ricerca in grado di tracciare la patente genetica di un vitigno dalle origini incerte e spesso collocato accanto ad altre varietà in realtà molto distanti per terroir ed espressione. Obiettivo del lavoro (svolto dal laboratorio Bioaesis di Ancona) è stato quello di utilizzare il DNA come un invisibile barcode per determinare la tracciabilità genetica del vitigno.
Tutte le analisi effettuate hanno confermato che il Ruchè possiede un suo assetto genetico caratteristico e diverso dalle altre varietà di vite presenti nei database.
La vendemmia ha luogo nella prima metà di settembre, quando l’uva concentra molti zuccheri con elevate gradazioni potenziali, un tenore antocianico medio e una trama tannica non troppo fitta.
Durante la fermentazione alcolica l’acidità tende ad alzarsi molto, pertanto la scelta del periodo vendemmiale va fatta in previsione dell’acidità che si vuole ottenere a scapito della concentrazione zuccherina.
È durante la fermentazione che il Ruchè sprigiona il suo profumo per combinazioni tra acidi e alcol etilico, a cui segue una macerazione di almeno 6 giorni per ottenere il suo caratteristico colore, macerazione che, se protratta eccessivamente, andrebbe a ledere gli aromi varietali del vino.
Può essere prodotto in acciaio, in appassimento e ha grande successo anche in affinamento in legno.
Tra le etichette di Montalbera, da segnalare Laccento, che include nel blend una piccola parte di uve appassite in vigna.
TIMORASSO: riscoperto da Walter Massa
Parlando di Colli Tortonesi (Alessandria), e segnatamente di Timorasso, non si può non interpellare Walter Massa (patron di Vigneti Massa di Monleale), autentico paladino di questa grandiosa cultivar. “Credevo, come tuttora credo nell’immensità della Barbera, ma avevo troppa fretta di raggiungere i miei obiettivi, per dare un senso a miei progetti, alla mia vita. La Barbera continua ad essere nel mio cervello e nel mio cuore, ma l’azzardo con il Timorasso è andato bene, e tutto il Tortonese e una folta schiera di critici e winelovers ne hanno tratto grandi benefici”.
Ma perché proprio questo vitigno?
“Vi ho creduto testandolo con serietà dopo aver studiato la storia vitivinicola tortonese. La produzione di vino bianco, il ‘torbolino’, è stata qui fondamentale sino al sopravvento della fillossera; già nel IV secolo il Pier Crescenzi scriveva con forza: ‘Il gioiello della agricoltura tortonese soni i vini bianchi, che hanno uno splendido avvenire’.
Bisognava solo partire. E la prima tappa potrà dirsi centrata quando l’uva di Timorasso da Derthona spunterà gli stessi prezzi del Nebbiolo da Barolo.
Personalmente si tratta di un traguardo che ho già raggiunto, in quanto le mie bottiglie sono più costose della media dei prezzi del Barolo.
Ma la vittoria di un singolo, non significa successo di un territorio, anche se le aspettative sono altissime”.
Veniamo a qualche caratteristica distintiva di questa bacca: “È un’uva esigente, promette molto, produce il giusto, ma va attentamente curata in primavera; dopodiché, difficilmente tradisce.
Interagendo con il terroir di Derthona, grazie anche alla sua insolazione, con una breve macerazione prefermentativa e aspettando un anno in cantina e almeno 4 in bottiglia, il Derthona Timorasso si fa grande vino da invecchiamento”.
VESPOLINA: Ioppa lo rivalutata in purezza
“Sicuramente la nostra azienda ha un debole per questo vitigno”, dichiara Andrea Ioppa, dell’omonima azienda di Romagnano Sesia (Novara).
“Da sempre crediamo tantissimo in lui, sperimentiamo e cerchiamo di renderlo molto importante. Purtroppo non molti sul territorio la pensano così, quindi è sempre molto difficile proporlo e divulgarlo.
Ben che vada si trovano in commercio Vespolina giovani, semplici, di pronta beva, ma il Vespolina ha un grandissimo potenziale e da esso ne può uscire un grande vino, partendo da un accurato lavoro in vigna”.
Il rapporto tra Ioppa (realtà fondata nel 1852) e quesa varietà viaggia di pari passo con la stessa storia della cantina, ormai giunta alla settima generazione; un vitigno che è sempre stato presente nella gamma aziendale.
Riprende Andrea: “Solitamente per i vini rossi quotidiani veniva utilizzata Uva Rara e Croatina, viceversa il Vespolina la si riservava per i vini in bottiglia, da grane occasioni.
Vi sono studi che dicono che il Vespolina (con la Freisa) sia un progenitore del Nebbiolo; sicuramente è un vitigno preesistente a quest’ultimo”.
Trattasi di varietà molto delicata e sensibile alle malattie, che necessita di un’attenta defogliatura per fare arieggiare le bacche e irrorarla di luce e che predilige suoli limoso-argillosi; dalla partenza vegetativa piuttosto lenta, durante l’estate il suo andamento fenologico si velocizza portando l’uva a una maturazione piuttosto precoce.
“Noi abbiamo vigneti di Vespolina sia a Romagnano Sesia sia a Sizzano. Nonostante la poca distanza, c’è una differenza enorme di microclima e di conseguenza un modo diverso di lavorazione. Nel primo caso ci si trova in un contesto ventilato, che consente una grande sanità dell’uva, il che consente una sua raccolta tardiva, a metà ottobre, assieme al Nebbiolo. A Sizzano l’ambiente è più umido, pertanto non appena l’uva è matura, a fine settembre, occorre subito vendemmiarla”.
Ioppa ne produce al momento tre versioni (in purezza): il Colline Novaresi Doc Vespolina Coda Rossa, da bacche di Sizzano; semplice, beverino, vinificato in acciaio.
Quindi una versione da uve di Romagnagno, che dà un vino più importante, frutto di una macerazione fino a 50 giorni e di un affinamento di 4 anni in botti grandi e 2 in bottiglia. Infine, la Stansì, un Vespolina passito.