L’accordo raggiunto a Bruxelles il 19 dicembre scorso tra la Commissione agricola del Parlamento europeo ed i rappresentanti dei ministeri dell’agricoltura dei Paesi membri, definisce le nuove regole che governeranno il mercato del vino europeo.
Il negoziato si è chiuso in modo più che onorevole per l’Italia nonostante i commenti rilasciati dai rappresentanti delle varie organizzazioni di categoria evidenziassero una certa insoddisfazione per il mancato accoglimento di parte delle loro richieste.
Non ho invece letto commenti di incondizionato apprezzamento per lo spirito fortemente moralizzatore che ha ispirato la riforma: cercare di mettere fine allo sperpero di denaro pubblico che si era perpetuato nel tempo nell’indifferenza generale. Si era giunti a bruciare un miliardo di euro l’anno per distruggere la sovrapproduzione di vino europeo. Un collaudato sistema delle sovvenzioni aveva congegnato un meccanismo che consentiva ai Paesi membri di ottenere sovvenzioni comunitarie via via crescenti in funzione della crescita della sovrapproduzione di vino da destinare alla distillazione obbligatoria, da distruggere.
La sovrapproduzione funzionale
Chi traeva vantaggio dalla sovrapproduzione?
I soggetti che gestivano/utilizzavano le sovvenzioni comunitarie destinate con implacabile continuità a distruggere le eccedenze; gli imbottigliatori di vini ed i produttori di spiriti e bevande alcoliche che traevano vantaggio dalla larga disponibilità di vino e di alcol a prezzi bassi che la sovrapproduzione cronica garantiva. Per tagliare le gambe alla sovrapproduzione Bruxelles ha ottenuto che per i prossimi tre anni vengano ad essa destinate sovvenzioni via via decrescenti e che queste vengano definitivamente abolite a partire dal 2011; che nei prossimi tre anni vengano estirpati in Europa 175.000 ettari di vigneto, 68.000 dei quali a carico dell’Italia. E’ rimasta invece irrisolta la questione nodale dell’arricchimento sulla quale Bruxelles si era molto battuta chiedendo invano il divieto di zuccheraggio.
E’ l’arricchimento la causa della sovrapproduzione
L’arricchimento, indifferentemente operato aggiungendo al mosto in fermentazione zucchero oppure mosto concentrato rettificato/MCR, è una pratica che permette di elevare la gradazione alcolica del vino. La corretta pratica dell’arricchimento consente di recuperare alla IGT, DOC e DOCG un vino che non possieda naturalmente la gradazione alcolica di ingresso richiesta dal disciplinare di produzione. Per oltre cento anni la Francia aveva riconosciuto legalità allo zuccheraggio (aggiunta di zucchero in fermentazione) per i vini prodotti in aree non climaticamente favorite. A partire dagli anni sessanta si cominciò a farne largamente abuso; l’abuso nasce dal fatto che lo zucchero ha un costo di gran lunga inferiore al costo che il viticoltore coscienzioso deve sostenere per ottenere la qualità nel vigneto. L’abuso dello zuccheraggio spinge ad accrescere oltre il lecito la produzione di uva confidando di recuperare per tramite dell’arricchimento il vino sciapito che da essa deriva.
Per frenare gli abusi occorre scoraggiare l’arricchimento: di qui la proposta originaria di Bruxelles di vietare lo zuccheraggio, che non venne però accettata dai Paesi membri.
La furbizia italiana
A causa delle diverse condizioni climatiche l’Italia del sud produceva vini con gradazioni alcolica elevata, mentre l’Italia del nord produceva vini di bassa gradazione. Ai produttori italiani di vino lo zuccheraggio venne sempre vietato.
Più che per virtù, per “scelta politica”. Vietando lo zuccheraggio si costringevano i produttori del Nord a tagliare i loro vini con quelli del sud. Fu una scelta scellerata perchè alimentò fortemente la frode commerciale, ritardò di trent’anni l’affermazione dei vini italiani di qualità sui mercati esteri, costrinse per lungo tempo i vini del sud ad una funzione di vassallaggio rallentando i tempi della loro crescita qualitativa.
Venticinque anni fa, in nome delle pari opportunità, l’Italia propose in sede comunitaria di fare una scelta virtuosa per quanto concerneva l’arricchimento, decidendo di puntare esclusivamente sul mosto concentrato rettificato/MCR. E’ un prodotto che deriva dall’uva (anziché dalla barbabietola o dalla canna come è per lo zucchero); avrebbe contribuito a ridurre la sovrapproduzione. Ovviamente si chiese e si ottenne che la comunità sovvenzionasse il costo degli impianti atti alla produzione e compensasse il maggiore costo rispetto allo zucchero: un conto per la Comunità Europea stimato in non meno di 150 milioni di euro per anno, niente male per essere una operazione virtuosa.
Pur riconoscendo la nostra buona volontà, resta il dubbio che a far battere il cuore dalla parte dell’MCR sia stata l’attrazione fatale che l’Italia nutre per le sovvenzioni pubbliche.
Oggi l’industria italiana del mosto concentrato rettificato vive totalmente di sovvenzioni comunitarie. Poiché nel nostro Paese nessuno è concretamente interessato a rincorrere lo spreco che viene fatto del denaro pubblico, all’industria italiana dell’MCR viene concesso di sottrarsi agli obblighi più elementari di trasparenza: non viene data comunicazione annuale di quanti siano gli stabilimenti autorizzati a produrre MCR e dove siano ubicati, dove acquistino la materia prima (se mosti italiani oppure mosti dai Paesi dell’est Europa), quali regioni italiane facciano maggiore uso di MCR ed in quali volumi, quanto ne venga esportato, a quanto ammontino le sovvenzioni pubbliche destinate annualmente alla sua produzione.
E’ consolidato vizio italico di avvolgere di un denso cono d’ombra i molti sistemi che succhiano denaro pubblico.
Una proposta lungimirante
Il cambiamento climatico in atto ha reso pressoché inutile la pratica dell’arricchimento per i vini prodotti nella fascia europea classica di produzione della vite, perchè si producono con regolarità vini di produzione alcolica più elevata che in passato. Spesso occorrerebbe impoverirli (di alcol) i vini, altroché arricchirli !
L’arricchimento, con zucchero o MCR, è diventata una pratica obsoleta, atta a perpetuare in cantina la fabbricazione del vino, spesso ai limiti della legalità, da scoraggiare vivamente, anziché sovvenzionarla con denaro pubblico.
Plaudo alla proposta avanzata da Marco Mancini sul Corriere Vinicolo del 10 Dicembre 2007 di tassare lo zuccheraggio ad uso enologico e di eliminare il contributo pubblico destinato alla produzione di mosto concentrato rettificato.
2008
Dieci desideri per il vino italiano
1) Che il Ministro De Castro faccia il miracolo di darci il Catasto Viticolo Nazionale entro il 2008. Il primo a sollecitarlo fu Renato Ratti; il mondo del vino ne è rimasto in attesa per trent’anni.
2) Che ritorni con il 2008 una vendemmia abbondante, altrimenti i produttori italiani avrebbero ben ragione di sentirsi tristi.
3) Che i nostri sistemi di prevenzione stiano allertati. I soliti marpioni, vecchi e nuovi, sono pronti ad entrare in azione non appena la domanda interna insista a richiedere vini a prezzi più contenuti, che la scarsità dell’offerta non consentirà di praticare.
4) Che non si resti sgradevolmente sorpresi se tra i vini venduti nei supermercati italiani al di sotto di un euro e venti centesimi a bottiglia sempre di più saranno quelli in arrivo dai paesi dell’est. E’ l’Europa Unita la bellezza, il vino italiano può ben procurarsi altri sbocchi.
5) Che il mercato USA continui a tirare. Altrimenti le cicale di casa nostra avrebbero ben modo di rimproverare i produttori italiani per avere troppo coltivato quel paese a scapito del mercato interno (?!).
6) Che le associazioni di categoria del comparto vinicolo sappiano PER UNA VOLTA mettersi attorno al tavolo per dare corpo entro il 31.12.2008 al progetto, da sottoporre agli assessori regionali all’agricoltura, che darà avvio al programma concordato con Bruxelles di estirpazione di 68.000 ettari di vigneti italiani, da completare entro il 2010. Risparmiandoci PER UNA VOLTA l’inettitudine e la furbizia italiana del rinvio.
7) Che si diventi tutti un po’ più smaliziati, un po’ più critici nel guardare ad enti ed associazioni varie che con la scusa di operare nell’interesse generale del TERRITORIO continuano invece a succhiare sovvenzioni da destinare al loro interesse particolare.
8) Che si restituisca dignità al vino. Troppi produttori si lasciano attirare a dare spettacolo con i loro vini, in ogni dove, in ogni luogo. A chi conviene lo spettacolo? Non certamente al vino, il cui consumo pro-capite continua inesorabilmente a calare.
9) Nella consapevolezza che quello del vino sia il comparto più fortunato dell’agricoltura, mostrare la capacità di assumere una regola che diventi d’esempio anche per gli altri. Che i presidenti delle associazioni no profit che svolgono attività in nome del vino e dei loro produttori, a condizione che queste abbiano beneficiato di sovvenzioni pubbliche con una certa regolarità, non possano ricoprire la carica per più di un mandato, non siano rieleggibili. E che i direttori delle stesse non possano ricoprire la carica per più di due lustri. Il mondo del vino ha bisogno di facce nuove; la non rieleggibilità aiuterebbe a rimuovere i fondi-schiena di pietra e darebbe ai giovani voglia di partecipare.
10) Nell’orgia di sondaggi che si fanno in Italia, ce ne sta un altro ancora. Individuare tra i quarantenni che fanno parte del mondo del vino italiano quelli che mostrano anche soltanto un pizzico della stoffa dei mai abbastanza rimpianti Giacomo Bologna, Paolo Desana, Renato Ratti, Gino Veronelli. Per aiutarli, tutti noi assieme, a crescere più rapidamente nell’interesse loro e nostro.