Un bel nome dell’Alsazia biodinamica, Pierre Frick, chiude le bottiglie col tappo a corona. Da qualche anno, ormai, ma io l’ho scoperto solo di recente: me l’ero perso, ma mica si può sapere tutto. Bene, qualcuno si è deciso a far capire che il tappo a corona sarebbe il sistema migliore per chiudere una bottiglia di vino e che il vero problema del sughero non è il “sapore di tappo”, che si avverte facilmente, ma le troppe aberrazioni che derivano al vino da questa chiusura, e sono aberrazioni estremamente insidiose. Capisco che può risultare azzardato tessere l’elogio del tappo a corona in quest’Italia iper-conservatrice che guarda ancora con sospetto addirittura la capsula a vite, ma ne vorrei di grandi vini chiusi col tappo di metallo, e ne vorrei di gente come il Pierre Frick che non ha paura dei pregiudizi, dei preconcetti, dei luoghi comuni, delle sciocche ritualità. Sia chiaro: non ce l’ho coi produttori di tappi in sughero, e credo addirittura che sui rossi da invecchiamento il sughero di qualità non sia sostituibile, almeno per ora (penso a un Barolo, per esempio: dura vederlo in chiusure diverse dal sughero). Però ho buttato nel lavandino troppe bottiglie per non andare in cerca di chiusure alternative, e d’alternativo vedo la vite e la corona.
Già già, Pierre Frick – biologico dal ’70, biodinamico dall’81 – è passato al tappo a corona nel 2002. E in un’intervista che si può leggere sul sito del suo distributore dice così: “L’aumento incessante delle deviazioni organolettiche (sapori e aromi), causato dal tappo in sughero, ci ha portati a questa scelta. La diversificazione dei nostri fornitori di tappi e l’acquisto di sughero di qualità sempre migliore non ha portato a nessun risultato soddisfacente. Al 4-5% del gusto di tappo, facilmente identificabile, si aggiungono almeno altrettante bottiglie deformate, influenzate dai tappi. Questa seconda categoria è molto più sorniona, perché il degustatore attribuisce al vino l’opacità che deriva dal tappo. Il cambiamento del tipo di tappo ha altri vantaggi: permette l’accrescimento della longevità delle mezze bottiglie; i vini trasportati a temperature troppo elevate, rischiano meno di avere dei disturbi proteici; il passaggio dei polifenoli del tappo nel vino può non solamente comunicare un gusto, ma anche far precipitare le proteine del vino”.
Ora, me la sento l’obiezione degli scettici che dicono: “Ma così il vino non evolve…” Nossignori, il vino evolve lo stesso. Del resto, la domanda-risposta c’è nell’intervista on line. “Il tappo ermetico non impedisce al vino di evolversi?” viene chiesto al vigneron alsaziano. E lui: “Già da trent’anni Emile Peynaud ha dimostrato che nella bottiglia nessun vino assorbe l’ossigeno dell’aria quando questo è tappato da un eccellente sughero; è proprio perché l’impermeabilità al gas è variabile da un tappo all’altro, che alcuni viticultori mettono della cera sul collo e sul tappo della bottiglia; le capsule di stagno non perforate, a copertura del tappo, assicurano una totale impermeabilità: dalle catene di imbottigliamento e di etichettatura escono qualche volta delle bottiglie con la capsula, ma senza tappo, che non lasciano uscire la minima goccia di vino; gli Champagne e i crémant maturano sur latte per anni in bottiglie tappate da capsule. La maturazione del vino è un processo fisico-chimico che non necessita di ossigeno dall’esterno”. Evviva, un produttore che parla chiaro. Non me lo sarei però aspettato da un biodinamico: vedete che ho anch’io qualche pregiudizio?
Di Angelo Peretti