C’è un dittero che ronza per la cucina italiana. Leggiadro come una libellula, molesto nelle piroette vaporose, ficcante come il pungiglione che insinua nelle carni molli della ristorazione nazionale. Sanguigno, ça va sans dire, quanto indiscreto. Un discendente, forse, del tafano di socratica memoria. Figura della filosofia che affianca il nobile cavallo della polis per spronarlo, pungolarlo, intralciarne gli incantesimi tarocchi e i cammini usurati.
L’aedes albopictus in questione volteggia in quel di Codigoro, in buona compagnia visti gli sciami bruni che si addensano e si disfano nell’aere, simili alla danza delle nuvole. Dentro uno scenario che è di quelli che non si dimenticano: nello specchio orizzontale delle valli acquitrinose, fra i ciuffi di canne che stormiscono, i goffi svolazzi di folaghe che schizzano starnazzi sul silenzio, i laghetti fossili o aperti al mare di una Venezia povera ma zeppa fradicia di poesia, dove la storia sembra ristagnare nel silenzio placido della laguna.
È proprio qui, presso l’oasi di Porticino, sulla via per Volano, che la famiglia Bison ha deciso di far ronzare il proprio sogno gastronomico. Sopra l’isola che non c’è di una macchia marrone sormontata da una casetta rosa, collegata alla terraferma da un piccolo ponte, circondata da acque addormentate che aprono porte di mattoni sul flusso quieto verso l’infinito. Incantevole d’estate, struggente nel tardo autunno e in primavera, quando all’interno si accende il camino. Sempre sospesa sulla vita. Un tempo qui si pescavano le anguille, con il companatico della civiltà e del folklore che le accompagnavano. Ed è così che con mezzo secolo abbondante di ritardo, si è ancora in tempo per montare sulla barca di Mario Soldati e godersi lo spettacolo del Po, acquattarsi guardinghi alle spalle di un fiocinino, sbirciare nelle finestre di un casotto per i vallanti e magari sprofondare sulle sedie di paglia su misura dei guardiani, non troppo confortevoli per scongiurare sonni profondi, branchi in fuga e cacce di frodo. Non tutto è perduto, insomma: è la zanzara a tenerci desti da incubi peggiori.
Bison però non è un cognome di queste parti. Ed invero Elio (foto in alto), patriarca e padrone di casa, che nelle sembianze ricorda non poco il Socrate del tafano, non nasconde le sue radici venete, affondate in una famiglia contadina. La via per la cucina l’ha inventata dal nulla, durante gli anni in cui tutto sembrava possibile, prima in chiave balneare, poi come ristorante pizzeria. Finché nel 2009 con i figli e la moglie non ha deciso di alzare il tiro inaugurando la nuova Zanzara.
Un locale raccolto, dove i tavoli si contano sulle punte della dita (otto per 24 coperti) e il genius loci popolare non va a sbattere sui prezzi. Complice la gestione familiare, la sfida di tutti è conciliare la qualità con prezzi decisamente friendly; un’equazione apparentemente impossibile la cui incognita vincente si chiama “conoscenza”. Delle materie prime, del territorio e dei suoi abitanti prima che delle tecniche futuristiche o delle mode del momento.
Perché Elio è un’enciclopedia di queste valli. Contagiato dalle mirabilia di Igles Corelli, che da Ostellato ha divulgato il sacro verbo gastronomico, lo ha introdotto a sua volta ai misteri dell’anguilla e degli acquatici del luogo, mentre il figlio Sauro affiancava il maestro qua e là per carpirne i segreti. Fermarsi ad ascoltare le sue narrazioni rappresenta un ingrediente imprescindibile dell’atmosfera e una voce pesante della cosiddetta dining experience.
E se parafrasando Oscar Wilde tutto ciò che piace è illegale, oppure fa ingrassare, le due cose alla Zanzara finiscono spesso e volentieri per coincidere, infilzate da un pungiglione insaziabile come gli spessori del saltimbocca allo stecchino. Amare il territorio, questo territorio, significa confrontarsi con una storia complessa e per certi versi drammatica. Con un senso di perdita incresciosa, che si accompagna al disappunto per le mistificazioni e all’orgoglio della propria missione (le anguille autoctone sono sempre più rare, mentre gli acquatici, che pure abbonderebbero, sbattono il muso contro l’ottusità della burocrazia e i bizantinismi del diritto). Tuttavia non c’è posto migliore, insieme all’amica Capanna di Eraclio, per gustare l’anguilla giusta, il risotto che magnifica la misconosciuta folaga o il fiore del pesce del mercato di Goro. Resistenza gastronomica pura. Mentre il comparto vegetale snobba le coltivazioni intensive delle terre malamente “bonificate” tutt’intorno in favore degli ortaggi di sabbia saporiti e organici coltivati da Elio, che produce anche un celebre salame riservato agli happy few.
Il must resta l’anguilla cotta su carbone e braci di leccio del bosco della Mesola, tuttora appannaggio di Elio; mentre mamma Vittoria sovrintende alla frittura mista di pesce dell’Alto Adriatico (entrambi i piatti costano 20 euro, come tutti i secondi). Più moderna e creativa, ma sempre misurata, l’impronta di Sauro (foto 1), che risalta per leggerezza ed equilibrio, senza forzature nelle elaborazioni e negli abbinamenti timbrici. È il caso dell’insalata di granchio reale con fagiolini al vapore e noci all’olio (20 euro), delle crocchette di baccalà in chiave mediterranea e del crudo di pesce (15 euro come tutti gli antipasti). Ma è difficile menzionare piatti che cambiano ogni mese, talvolta anche settimanalmente, secondo le disponibilità del mercato. Fra i primi piatti (sempre a 15 euro) spiccano gli spaghettoni artigianali al nero e le fettuccine fatte in casa con vongole veraci della sacca di Goro e moscioli selvatici di Portonovo. Insidiati in stagione dalla grandiosa caccia degli acquatici.
Mentre la passione di Sauro per la pasticceria, inoculata da Mauro Gualandi, è alle origini di dessert freschi e particolarmente curati quali la bavarese al lampone con acqua dolce alla verbena e la schiacciata di ricotta con salsa al miele e peperoncino (5 euro).
La sala è governata dalla sorella Sara (foto 3) e dal fratello Samuele (foto 2), che ha lasciato l’informatica richiamato dal pesce sirena e oggi tiene le chiavi della cantina. Sono circa 200 etichette, in gran parte bianche, con generose sezioni dedicate alle bollicine italiane e francesi e ai vini “naturali”, in prima fila i viticoltori bio di Brisighella e il loro capitano Andrea Bragagni sotto l’insegna aranciata di un Albana disarmante.
Ristorante La Zanzara
Via Per Volano, 52
Codigoro (FE)
Tel. 0533 355236
www.ristorantelazanzara.com