Locus amoenus: così gli antichi avrebbero senz’altro definito Civitella Del Lago. Appena un secolo fa lo specchio di Corbara, che riflette anche Casa Vissani, non c’era, ma le colline dolcissime e ovattate di boschi sono rimaste le stesse e non si fatica a immaginarvi qualche ninfa gocciolante qua e là.
Da quel paesino fuori del tempo, oggi inopinatamente detox, Paolo Trippini, protagonista ormai storico della gastronomia umbra, non vuole assolutamente emigrare, avvinto com’è dalle filiere. “Perché è il posto più bello del mondo. Sono legatissimo alla mia terra e alla mia famiglia. Qui sono nato e anche se ho avuto diversi ristoranti fuori, come il Bosco umbro di Eataly Roma, per me resta sempre la casa madre. Il mio centro di gravità, ancor più dopo la pandemia che mi ha tenuto fermo”.
Qui nonno Giuseppe nel 1964 aveva aperto la sua trattoria “Da Peppe si pappa”, lui oste che accoglieva calorosamente in cantina gli amici, sua moglie Giulia cuoca acclamata di specialità tradizionali come le tagliatelle con le rigaglie, ancora oggi in carta.
Da qualche tempo era iniziata la costruzione della diga e fervevano i lavori per il vicino tratto di A1. Un momento di benessere, in cui c’erano da sfamare gli operai, mentre i pochi civitellesi necessitavano di un posto dove potersi aggregare. Fu il sindaco in persona a suggerire la trasformazione di una porzione di casa in osteria. Poi nel 1973 era venuto il momento di papà Adolfo e mamma Angela.
“All’inizio servivano le tipicità dei nonni. Poi mio padre era entrato in un giro di amici gourmet e aveva cominciato a girare: per esempio seguiva Saperi e Sapori, gli piaceva tenersi aggiornato e pian piano aveva iniziato a cambiare tipo di cucina e trasformare la trattoria in ristorante. Anche perché sul lungolago avevano aperto in tanti e bisognava offrire qualcosa di diverso per convincere la gente a salire in paese” racconta Paolo Trippini.
“Ho avuto la fortuna di avere un padre molto intelligente, che in pratica mi ha cacciato dal ristorante, esortandomi a rientrare quando fossi stato pronto, dopo essermi confrontato col mondo, e spronandomi in ogni modo, tanto credeva in me.
Quindi mi sono iscritto all’alberghiero di Spoleto e ho fatto le mie prime esperienze, da Arnolfo e in riviera. Da Pierangelo Barontini ho conosciuto Enrico Bartolini, poi ho trascorso due anni con Gianfranco Vissani, girando tutte le partite tranne la pasticceria.
E mi ha trasmesso tantissimo: la conoscenza e il rispetto della materia prima, la cultura dell’alta gastronomia, la capacità di lavorare in una grande brigata e organizzare la banchettistica”. Dopo un passaggio al Povero Diavolo di Riccardo Agostini, eccolo rientrare a Civitella nel 2006. Nel frattempo la trattoria è diventata un locale raccolto, a causa della separazione dal bar gestito dalla sorella. Una ristrutturazione dopo l’altra, il ristorante Trippini prende forma. Sono appena 14 coperti vista lago.
Il concetto si chiama subito Umbria. “Credo molto nella mia terra: qui ci sono tante realtà grandi e piccole che possono fare la differenza.
Anche in trattoria è difficile mangiare male e nello stop del lockdown ho potuto stringere rapporti ancor più fitti con i produttori, tra cui molti giovani che hanno scelto di tornare alla terra, con i quali voglio fare squadra.
Mi ha ispirato tra l’altro il progetto dell’Humburger, hamburger a base di prodotti locali, dal piccione all’agnello, per il quale mi sono appoggiato al macellaio del paese e ad altri fornitori locali, perfino nel packaging.
Già in precedenza, in occasione della festa di San Lorenzo, mettevo fuori un banchetto, ma ne preparavo un tipo solo. Ed è stato un successo: siamo arrivati a vendere 200 pezzi ogni weekend, più il delivery con le paste fresche su Roma. È diventato un pop up estivo davanti al ristorante, ma non è certo un’esperienza conclusa”.
Il ristorante ha riaperto con una squadra di fornitori ancor più coesa e affiatata. Oltre al suddetto macellaio che seleziona le carni e fornisce i salumi, ci sono Giuliano Tartufi, i caprini di Secondo Altopiano, nelle cui stalle gli animali ascoltano la filodiffusione, e di Ma’ Falda, Re Sole per gli ortaggi, dove non arriva l’orto della casa (ma Paolo Trippini confeziona anche salumi per uso personale). Mentre all’olio provvedono il frantoio dello zio, con cultivar miste, e la Cooperativa De Pazzi. Perché il paese un tempo si chiamava Civitella De’ Pazzi, forse perché vi aveva sede un manicomio pontificio nella fortezza, forse perché era una tenuta della famiglia fiorentina De’ Pazzi.
Ai vini pensa infine il fratello di Paolo, Luca, autore di una carta da 200 referenze, con focus obbligato sull’Umbria, ma anche su francesi e naturali.
Si mangia alla carta, ma ci sono anche diversi percorsi di degustazione: i menù al tartufo e a mano libera, a 75 e 120 euro; la nostra storia, con flashback da nonna Giulia ai primi signature, passando per il piccione in salmì di papà, a 90; la possibilità di pescare 5, 6, 7 o 9 portate da una selezione di corse a 60, 70, 80 o 100 euro.
È ormai un classico Bosco umbro, piatto del 2010 ispirato a un paesaggio commestibile degustato da Bottura.
L’idea è quella di una passeggiata, le cui sensazioni variano secondo la stagione. Interamente vegetale la composizione, con 4 creme (tartufo, frutti rossi, verdure dolci ed erbacee), spuma di patate, farina di frutti di bosco essiccati, per il sottobosco foglie, radici e ancora tartufo, in una stratificazione di contrasti e di colori.
Fra gli antipasti vola la quaglia imbottita con pane bagnato e strigoli, servita con coscetta farcita e fritta, salsa agli strigoli e zabaione al vermouth.
“La quaglia è una delle mie carni preferite, quindi è sempre in carta; in questo caso contrasto la sua dolcezza con la nota erbacea e l’amaricante del vermouth ridotto, da solo e nello zabaione cremoso, che lega il tutto. Gli strigoli li raccolgo personalmente, in una parte dell’orto che lasciamo selvatica”.
Oppure la zuppa di ricotta con gamberi di fiume e asparagi: “Questo è il momento migliore per la ricotta, perché le capre e le pecore cominciano a uscire e arriva il latte profumato del pascolo.
La servo con un fondo di crema di asparagi, la loro spugna e i gamberi di fiume sgusciati”.
Lo spaghettone è condito con uno stracotto di maiale sfumato con la birra alle amarene e i carciofi fritti. Ma Paolo Trippini non fa a meno del risotto, preparato con estratto di cicoria amara, fonduta di blu di capra Secondo Altopiano in contrasto, polline per la dolcezza, i profumi, la soavità.
Fra i secondi spicca l’agnello spadellato con i carciofi e la bieta mantecata stile cacio e pepe.
La pasticceria è curata dalla compagna di Paolo Trippini, Conny Cicilano. Chiude su un gelato alle olive su biscotto di mandarino. “Cenando dai Roca ci ha colpito l’uso del gelato alle olive, ma le nostre risultavano troppo amare, quindi abbiamo optato per le taggiasche. Mentre il biscotto è al mandarino per la freschezza, l’acidità, il rimando al tradizionale condimento all’arancia.
Continuava a disturbarmi la persistenza delle olive, per cui abbiamo unito una mousse di cioccolato bianco, che con la sua grassezza fodera il palato”.