Esiste un inconfondibile stile toscano, famoso nel mondo, riscontrabile non solo nell’estetica dei palazzi nobiliari delle città, nei monumenti, negli arredi sontuosi, ma ancor di più nelle dimore di campagna in cui un atavico buon gusto ha generato quell’eleganza solida, raffinata e composta, chiara sintesi di cultura e storia millenaria.
L’impronta subito percepibile è tale che, non a caso, anche a sottolinearne i tratti caratteriali forti al limite dell’anarchia, si dice che i toscani vivano in una loro nazione e non in una regione, nella quale, giustamente orgogliosi, coltivano quel campanilismo fatto di primati che ha indotto un fazioso Curzio Malaparte a definire i toscani “più intelligenti degli altri italiani”.
Ma se questo assunto è facilmente e doverosamente smontabile, la supremazia della lingua di Dante, di forme d’arte tra le più elevate al mondo, di un paesaggio identificabile come pochi, di un senso universale della misura e dell’armonia che sovrasta ogni possibile eccesso, sono valori su cui la Toscana fonda una fama presa a modello universale.
Sono toscani i mattoni a vista dei casali, le belle pietre dorate, i materiali naturali di tessuti impareggiabili, il legno solido di arredi senza tempo, i colori ruggine o tutta la gamma degli ocra mutuati dal territorio, la capacità di accostare elementi diversi tra loro con innato equilibrio.
E tuttavia, meraviglia tra le meraviglie, ci sono luoghi dove la concentrazione della perfezione è massima: Montalcino ne è uno degli esempi e Castello Banfi ne è ulteriore conferma.
Già soltanto il percorso per giungere a Castello Banfi è motivo di incanto e seduzione: immersi tra i 2830 ettari di vigneti a perdita d’occhio, tra le colline punteggiate di ulivi, con gli scorci dei boschi e delle immancabili
teorie di cipressi a fare da corollario, si arriva al settecentesco borgo in pietra già con una possibile sindrome di Stendhal. Il resto lo fanno la vista dall’alto che accompagna vallate e colline quasi fino al mare, gli spazi esclusivi dei cortili e delle balconate, quelli raffinati degli interni, curati in ogni dettaglio dal celebre architetto Federico Forquet che del più ricercato stile country–chic ha fatto la cifra dei propri interventi nelle camere accoglienti, così come negli spazi comuni e nei due ristoranti.
La tendenza verso il bello e il buono come scelta di vita si rafforza anche attraverso la cucina di Cucina Banfi che va a sublimare la gran parte di ciò che l’ambiente offre: oli prestigiosi, vini importanti di produzione propria, amati in tutto il mondo, ortaggi coltivati in loco, carni di prossimità, pesci del vicino Tirreno.
Ne evidenzia le caratteristiche lo chef Domenico Francone, pugliese, esperienza a Londra presso lo stellato Aspleis di Heinz Beck e una vasta conoscenza della cucina asiatica che lui ama, ma che non ritiene debba essere predominante nei suoi piatti.
“Noto un eccesso di contaminazioni esotiche negli elaborati di alcuni colleghi. – afferma lo chef – Certo, io stesso ho imparato, per esempio, tutti i vantaggi delle fermentazioni, ma questo non significa che debba troppo trasferire nelle mie preparazioni tracce tangibili di culture tanto diverse dalle nostre.
Il nitore, la pulizia etica ed estetica delle cucine orientali sono valori che io avevo già assorbito dal mio più grande mentore, ossia lo chef Massimiliano Blasone che lavorava qui a Castello Banfi prima di me e che mi ha trasferito con generosità le linee guida di una cucina eccellente.
Altro mito abusato è quello del tanto sbandierato km 0: oggi mi sono arrivati lampascioni, cime di rapa, pelati e farina di semola rimacinata dalla Puglia.
Se un’azienda fa qualità e la fa con ogni evidenza rispetto ad altre, dovrei privarmene solo perché non è del territorio in cui ora lavoro? La risposta è pleomastica, almeno quanto lo è il fatto che in prossimità acquisto le carni o il pesce da fornitori affidabili”.
Ecco pertanto che l’integrazione tra prodotti e influenze regionali diverse si traduce in uno dei piatti signature di Francone, palese omaggio sia alla Toscana, sia alla sua terra di provenienza e alla cucina di casa che lo ha condizionato fin dall’infanzia e che ne ha determinato le scelte: si tratta del “tortello maremmano a modo mio”.
“L’ho concepito su suggestioni apulo/toscane – ironizza lo chef – partendo dal ragù di tipo barese con la braciola cotta nel sugo, ridotta in farcia e chiusa nel tortello come una cartellata. Lo completa una spuma di ricotta di bufala maremmana su crema di spinaci”.
La sua brigata di 14 elementi lavora su più fronti: La Taverna, tipico ristorante toscano situato sotto le volte delle vecchie cantine del castello, dove un tempo riposavano le grandi botti di legno utilizzate per l’affinamento del Brunello di Montalcino; il club service, il service rooms, le cooking class per coloro che soggiornano in hotel e i banchetti per gli eventi privati.
Ma è sui 24 posti della Sala dei Grappoli che si concentra l’attività di fine dining che ha valso alla struttura la stella Michelin fin dal 2020. Situata nel cuore del castello medioevale di Poggio alle Mura, oggi appunto conosciuto come Castello Banfi, La Sala dei Grappoli accoglie i propri ospiti in un ambiente elegante e raffinato.
La cucina a vista, all’ingresso del ristorante, offre ai clienti la possibilità di osservare la brigata all’opera, prima di accomodarsi in una delle due sale, con pareti decorate da tralci di vite, a ricordarci il territorio in cui il ristorante si trova.
Nel periodo estivo, il ristorante si arricchisce di una splendida terrazza affacciata sulle mura dello storico castello, dove lo sguardo si apre sulla meravigliosa Val d’Orcia, patrimonio mondiale Unesco.
VIGNA MARRUCHETO
Con la vendemmia 2016, la famiglia del Brunello di Montalcino di Banfi si arricchisce di una nuova etichetta, il Vigna Marrucheto, 12.000 bottiglie, prodotto da tre particelle dell’omonimo vigneto (circa 10 ha).
Sito nell’area sud-orientale della tenuta, fonda le sue radici sui numerosi studi effettuati sin dagli inizi all’interno della tenuta Castello Banfi, da quelli sulla zonazione, alla selezione clonale, allo sviluppo del sistema d’allevamento ad Alberello Banfi.
Oltre quarant’anni di esperienza di Banfi dedicati ad esprimere e valorizzare le diversità di ogni terroir della tenuta, trovano il proprio compimento nel progetto Brunello «Vigna». Grazie alla zonazione aziendale, il cui obiettivo primario è stato quello di valorizzare al meglio ogni singola zona della tenuta, sono stati individuati ventinove differenti terroir. Il terroir: il termine francese con una sola parola ci racconta che un vino è figlio non solo dell’uva, ma dell’ambiente in cui l’uva stessa matura.
Terreno, quindi, ma anche luce, brezze, altitudine creano in ogni vigneto un piccolo mondo totalmente diverso da quello adiacente. E il lavoro svolto in vigna continua in cantina. Qui, le uve di ogni singolo vigneto vengono lavorate separatamente e anche l’affinamento prosegue in maniera separata, offrendo la possibilità di assaporare nel calice le differenti peculiarità di ogni vigneto. Elegante e ricercato, nel bicchiere si presenta con un colore rosso rubino intenso. Dotato di grande complessità sensoriale, in cui spiccano note di prugne rosse mature e pesche bianche, ha un corpo pieno e vibrante, sostenuto da un’ottima acidità, con tannini setosi e un finale ben bilanciato e molto persistente.
[Questo articolo è tratto dal numero di maggio-giugno 2023 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]