È una Puglia enoica tutta da scoprire quella che emerge se si trascurano i “soliti noti”. Una regione capace di offrire numerose curiosità ampelografiche lungo tutta la sua estensione. Dal Bombino Nero che vien bene solo in rosa, al Sussumanillo che vuole viti ultra decennali, dal Marchione che ama lo Charmat all’aromatico Minutolo e molti altri ancora.
E anche la Puglia, così come quasi tutte le altre regioni della Penisola, non smentisce l’eccezionale biodiversità ampelografica del nostro Paese.
Pure qui sono molti i vitigni salvati dall’estinzione e rilanciati con successo da parte di lungimiranti viticoltori, dal foggiano al leccese. Bacche spesso dalle controverse origini, ma di comprovata qualità; dai tratti originali e unici, che andremo a scoprire in questa nuova puntata dedicata ai cosiddetti vitigni “reliquia”
BIANCO D’ALESSANO, TRA I PRIMI A ESSERE “PORTAINNESTATO”
Il Bianco d’Alessano, oggi soprattutto coltivato a Martina Franca, Locorotondo, Alberobello, Fasano, Ostuni, ma pure nella Murgia barese, fu tra i primi vitigni a essere in- nestato nella fase di ricostituzione post-fillosserica delle vigne della Valle d’Itria.
Resistente, produttivo, poco esigente, ha fioritura precoce e maturazione medio-tardiva.
Negli anni ‘60 insisteva su una superficie di 3.800 ha, oggi ridotta a 350.
Con la Verdeca, costituisce l’ossatura delle Doc Locorotondo e Martina Franca.
Leader di questa varietà è Polvanera di Filippo Cassano (Gioia del Colle).
Il suo Puglia Igt Bianco d’Alessano, vinificato con un protocollo enologico lineare, così da esaltare i tratti delicati del vino, profuma di bergamotto, mimosa e finocchietto, con sorso fresco, sapido, dal lungo finale all’ananas ed erbe aromatiche.
BOMBINO NERO, ATIPICO E SOLO IN ROSA
Il Bombino Nero, la cui culla è l’aerale più elevato della Doc Castel del Monte, è atipico rispetto alle altre cultivar pugliesi: è tardivo, fatica ad accumulare zuccheri, mantiene un’acidità elevata e ha buccia con pochi polifenoli. Pertanto è un vitigno che si presta a essere vinificato solo in rosa.
A livello di vinificazione non si pratica il salasso (non se ne deve ricavare un rosso), bensì una macerazione breve. Tra i rari Bombino Nero in purezza, spicca il Castel del Monte Bombino Nero Docg Pungirosa di Rivera (Andria).
“Per differenziarlo dalle altre nostre etichette – spiega Sebastiano Rivera – abbiamo deciso di produrlo per ‘sottrazione’, allontanandolo dal concetto di vino rosso: macerazione a una temperatura di soli 5°C ma lunga 24 ore e, dopo la svinatura, normale fermentazione a 18°C.
Di color buccia di cipolla, profumi di rosa, ciliegie e salvia, dal sorso fresco, morbido, armonico, persistente, il Pungirosa è tra i nostri maggiori successi”.
FRANCAVIDDA E IMPIGNO, DUE CHICCHE IDENTITARIE DI OSTUNI
Tra i vitigni più curiosi del panorama enoico pugliese figurano il Francavidda e l’Impigno. Il loro interprete è Oronzo Greco, dell’omonima azienda di Ostuni. “Tutto è iniziato nel 2004, quando ho scoperto che queste uve potevano dare risultati interessanti; approfondendo la mia ricerca è pure emerso che nessuno vinificava queste due cultivar alla base dell’Ostuni Doc Bianco, e che pertanto anche la denominazione era di fatto in via di ‘estinzione’, non solo i vitigni; ho quindi deciso di investire su di essi”. L’Impigno ha grappoli alati, con bacche dalla buccia sottile, poca pruinosa; resistente a malattie e avversità climatiche, matura a metà settembre, con alte rese. Il Francavidda presenta viceversa degli acini dalla buccia pruinosa e spessa.
Dal loro blend se ne ricava un vino profumato di pesche e agrumi, con ricordi di erbe, acacia e mandorla amara. E proprio queste sono le caratteristiche dell’Ostuni Doc Bianco Signor Nina, prodotto dalle cantine Greco.
UN PASSITO PRODOTTO COMME IL FAUT, PER RILANCIARE I VINI DOLCI PUGLIESI
“Il vitigno che prediligo è la Malvasia Nera di Brindisi. Ne esalto l’habitus vegetativo, il portamento eretto che conferisce eleganza alla forma di allevamento praticata, la buona produttività e la produzione di grappoli con acini tondeggianti, vellutati e perfetti”, così Sergio Botrugno, dell’omonima cantina di Brindisi. Ormai da un ventennio la scelta aziendale di impiantare tale cultivar su appezzamenti dedicati che ne facilitano la tracciabilità è dettata dall’obiettivo di produrre vini dal gusto internazionale, morbidi e vellutati, che vanno a porre fine a una distorta reputazione passata dei vini dolci della regione. Tutto ciò si traduce nel Salento Igt Rosso Passito Botrus. Da vigne ubicate nel comprensorio della Doc Brindisi, che rendono solo 40 q/ha di uva, si opera una prima vendemmia a metà ottobre pari al 50% del raccolto, il resto lo si porta in cantina dopo un mese di appassimento in vigna; per un vino dai sentori di frutta secca e candita, dal gusto caldo, vinoso, ma anche fresco ed equilibrato.
IL MARCHIONE SI ESALTA CON IL METODO MARTINOTTI
La già citata Polvanera è anche protagonista del rilancio del Marchione, possibile incrocio tra Montonico Bianco e Ragusano, identificato nel 1877 a Martina Franca. Legato alla Valle d’Itria, allevato ad alberello, si sta ora diffondendo nella Murgia barese, pur se la sua presenza complessiva si riduce oggi a pochi ettari. L’uva è rosa e matura verso fine settembre. Pur non esclusivo della Igt Valle d’Itria, solo con essa è possibile dichiararlo in etichetta.
Assai produttivo, si fa apprezzare per l’aromaticità e per l’elevata acidità, il che lo porta a essere un’interessante base per la produzione di bolle metodo Martinotti. Non a caso Polvanera lo impiega in purezza per l’ottenimento del suo Puglia Igt Spumante Brut Metodo Charmat C, dai delicati aromi di mela verde, citronella, pompelmo, con ricordi di anice e muschi; il sorso è beverino, morbido in ingresso, fresco, dal finale agrumato con sentori di mandorla amara.
UN’INTRIGANTE CARICA AROMATICA, DA GESTIRE “A PIACIMENTO”
Il (Fiano) Minutolo, che non ha nulla a vedere con il Fiano campano, è un’uva dal grappolo tondeggiante, dall’acino piccolo, dotata di terpeni capaci di generare aromi vagamente simili a quelli del Traminer e del Moscato, ma – fusi fra loro – di fatto unici. Principale interprete di questa varietà è l’azienda Pirro Varone (Manduria) di Pietro Ribezzo e Maria Antonietta Occhinero, che la declina in due versioni tra loro opposte: il secco Minutolo di Puglia Igt Le Vigne Rare e il dolce Minutolo di Puglia Igt Vendemmia Tardiva Tocy.
Nel primo caso le uve vengono raccolte con un certo anticipo, per non esaltare eccessivamente l’aromaticità del vitigno, ottenendo quindi un vino da tutto pasto, teso a non sovrastare le pietanze a cui viene accostato. Per produrre il Tocy, viceversa, le uve vengono lasciate in pianta sino a che giungano a un delicato appassimento, così da avere un nettare finemente aromatico, dal gusto pieno, caldo di alcol ma fre- sco di acidità, di calibrata dolcezza.
TUCCANESE, DIVERSE LE IPOTESI SULLE ORIGINI, MA CERTA LA SUA QUALITÀ
La Cantina Vinicola Il Tuccanese di Leonardo Guidacci nasce a Orsara (Fog- gia) nel 1997 con lo scopo di valorizzare un vitigno autoctono espressivo del territorio: il Tuccanese, recuperando da vecchi vigneti la cultivar originale, spesso confusa con altre uve. Circa le sue origini, dapprima si pensava potesse trattarsi di un clone di Perricone, poi che potesse essere un clone di Piedirosso; da qui l’idea di interpellare l’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Turi per l’analisi del Dna. Dalle ultime ricerche emerge che “il nostro” potrebbe essere un clone di clone di Sangiovese. Sia come sia, i risultati ottenuti negli ultimi anni da questa cultivar lasciano sperare in successo sul piano qualitativo. L’azienda ne produce tre versioni; due in purezza: il Daunia Igt Rosso Magliano, che matura 3 mesi in barrique; il Majanca, affinato 8 mesi in piccoli fusti; una, lo Scatalupa, frutto di un assemblaggio paritario di Tuccanese e Aglianico, che matura 6 mesi in tonneau.
VERDECA, STORICA UVA PUGLIESE ORA VALORIZZATA IN PUREZZA
Storicamente coltivata nelle province di Taranto e Bari, la Verdeca deve il suo nome al colore degli acini, che rimangono verdi anche quando l’uva è matura.
Presenta un grappolo conico con bacche dalla buccia molto pruinosa e tenace, che matura nella seconda decade di settembre.
Vinificata in purezza, dà un vino di colore giallo paglierino tendente al verdolino, dall’aroma tenue, di media alcolicità, decisamente fresco, gradevole e dai sentori fruttati. Tra i principali sostenitori di questa varietà, va segnalata Torrevento (Corato) di Francesco Liantonio.
Il Puglia Igt Bianco Verdeca Matervitae lo si ottiene da una vinificazione in purezza di uve provenienti da vigneti collinari del nord Barese, posti a circa 400 m slm su suoli calcareo-argillosi, densi 4.000 ceppi/ ha, per una resa par a 110 q/ha di uva, vendemmiata nella prima decade di settembre. Dopo una classica fermentazione in bianco, il vino – da bersi in gioventù – affina 4 mesi in acciaio.
PAMPANUTO, IN VERSIONE ORANGE OFFRE TUTTO IL SUO POTENZIALE
Il Pampanuto, rara cultivar presente solo nell’entroterra barese, è un’uva che negli anni ‘70 era giunta al limite dell’estinzione, quando se ne (ri) scoprirono gli interessanti tratti organolettici tali da indurre a un suo provvidenziale recupero.
Tra i protagonisti del suo rilancio figura Cantine Imperatore di Adelfia, i cui titolari – Sonia Imperatore e Vincenzo Latorre – hanno inteso reinterpretarlo in modo inatteso.
“Il nostro Puglia Igt Bianco Quarto Colore – così Latorre – nasce dopo cinque anni di sperimentazioni, con la volontà di riscoprire e attualizzare le antiche tecniche di vinificazione dei nostri avi; dando così origine a un orange wine elegante, da un vitigno considerato minore ma che celava il suo segreto proprio nella buccia”.
Il Quarto Colore scaturisce da una macerazione di 3 settimane e una breve sosta in botti di rovere non tostate; profuma di fiori gialli e scorza d’arancia candita, il sorso è molto fresco e vellutato, dal lungo finale sapido-minerale.
OTTAVIANELLO, RIPARTIRE DA ZERO PER ATTUALIZZARE UN’UVA SOTTOVALUTATA
La rinascita dell’Ottavianello si deve soprattutto all’azienda Carvinea di Carovigno, e al sodalizio fra il suo titolare, Beppe Di Maria, e l’enologo Riccardo Cotarella. L’idea dei due non è però quello di rinverdire una tradizione, ma di intraprendere un percorso nuovo, anche al di là delle incerte origini del vitigno: l’obiettivo è di ricostruire un vino partendo da zero. “Così l’Ottavianello diventa una sorta di missione, un atto di fede”, afferma Di Maria, che aggiunge: “Di certo l’Ottavianello avrebbe goduto di un migliore destino, solo che fosse nato altrove, in un territorio meno caratterizzato da vitigni autoctoni”, dove avrebbe avuto più possibilità di farsi meritatamente notare.
La definiva consacrazione del vitigno ha luogo nel 2014, con la sua prima vinificazione in purezza; per un vino – il Salento Igt Otto – dalla personalità unica, con un’interessante propensione all’invecchiamento. Rubino brillante, offre note di mandorle e nocciole, con ricordi speziati; dal sorso morbido e persistente, presenta un finale lievemente aromatico.
MOSCATELLO SELVATICO, PREZIOSA “RELIQUIA” PRODOTTA SOLO DA CASTELLO MONACI
Il Puglia Igt Bianco Verdeca Matervitae lo si ottiene da una vinificazione in purezza di uve provenienti da vigneti collinari del nord Barese, posti a circa 400 m slm su suoli calcareo-argillosi, densi 4.000 ceppi/ ha, per una resa par a 110 q/ha di uva, vendemmiata nella prima decade di settembre. Dopo una classica fermentazione in bianco, il vino – da bersi in gioventù – affina 4 mesi in acciaio.
Luigi Seracca di Castello Monaci (Salice Salentino) racconta: “Abbiamo deciso di recuperare il Moscatello Selvatico nel 2008, partendo da alcune vecchie marze ritrovate nel- la tenuta piantate da mio nonno ne- gli anni ’40 e da noi reimpiantate ad alberello su un terreno rosso leggero nella parcella più alta dell’azienda, con rese bassissime – 40 q/ha di uva – che conferiscono pienezza ma anche una spalla acida difficilmente riscontrabile nei vini dolci pugliesi”.
Con acini cosparsi di macchie marroni, il suo grappolo si presenta spargolo, caratteristica importate per l’appassimento in pianta, “che conduce in particolari annate alla formazione di muffa nobile”.
La vendemmia si svolge in più riprese lungo l’arco del mese di settembre, a cui fa seguito un ulteriore appassimento in fruttaio.
Dopo la vinificazione, l’affinamento ha luogo in barrique nuove per 10 mesi. Il tutto, per un nettare giallo dorato intenso, dai profumi di fiori d’arancio e salvia sclarea; il sorso è caldo, morbido e avvol- gente, dal finale fresco e persistente, co ricordi di composta di pesche e albicocche.
LA VITE DI SUSSUMANIELLO VA ATTESA DIECI ANNI…!
Il Sussumaniello, dapprima ritenuto originario della Dalmazia, ma più probabilmente figlio genetico del Sangiovese, tipico del Brindisino, deve il suo nome, che vuol dire “somarello”, alla sua elevata produttività, tanto che nei primi dieci anni di vita la pianta ha una resa così elevata da generare vini poco interessanti, e solo dopo tale periodo comincia a produrre drasticamente meno, dando vita a nettari colorati, ricchi di profumi e strutturati.
Cantine Due Palme di Cellino San Marco è stata tra le prime a credere nel rilancio di questa cultivar.
“Il nostro Salento Igt Sussumaniello Serre – racconta patron Angelo Maci – è ottenuto da uve selezionate raccolte manualmente, vinificate e macerate in silos orizzontali rotativi, con un successivo affinamento di 6 mesi in barriques”.
Ne scaturisce un nettare rosso rubino profondo dai riflessi violacei, con sentori sentori di di piccoli frutti scuri, confettura e quindi grafite; il potente e deciso sorso riprende le note già colte al naso, il tutto all’insegna dell’equilibrio, con un finale sapido e molto persistente.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2024 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]