L’origine del veganismo risale a ben oltre 2000 anni fa: questa scelta non è dunque una moda passeggera, ma ha profonde radici storico-culturali. Troviamo preziose testimonianze già nell’Antica Grecia con Pitagora, filosofo e matematico, che fu tra i primi a parlare dei principi di alimentazione senza derivati animali, influenzando i suoi discepoli come i filosofi Socrate e Platone. Il termine “Vegetariano” fu coniato nel 1842 dalla Vegetarian Society in Inghilterra e solo nel novembre del 1944 venne creato il termine “vegan” come contrazione di vegetarian. A farlo fu Donald Watson insieme a Elsie Shrigley i quali, avendo ricevuto il divieto dalla Vegetarian Society a formare un gruppo interno alla stessa congregazione costituito solo da coloro che avevano deciso di eliminare anche i derivati come latte e formaggi, fondarono la Vegan Society. In quel novembre del 1944 fu presentato lo statuto della neonata associazione, tuttora esistente, che definisce il veganismo come una filosofia e stile di vita non violento, che promuove l’eliminazione dello sfruttamento, crudeltà e quindi l’uccisione degli animali per ricavarne cibo, vestiario ed ogni altro prodotto. Il veganismo inteso nel suo senso più puro è una scelta etica, non ha nulla a che vedere con un’orientamento salutistico, tantomeno è una delle tante mode in campo alimentare che periodicamente i media ci propongono. Il Vegano esclude, nel limite del possibile e praticabile, tutte le forme di violenza e sfruttamento verso gli animali promuovendo quindi l’utilizzo di alternative vegetali per il bene degli animali, ma anche dell’uomo e dell’ambiente.
Grazie all’impegno divulgativo di tanti Vegani, oggi come oggi, la maggior parte della popolazione sa che il vegano rinuncia – di buon grado, aggiungo – a tutto ciò che è di origine animale. Molti ne comprendono la scelta etica, molti pensano sia solo un nuovo modo per dimagrire, altri addirittura pensano sia una scelta estrema, inconcepibile perchè contro le origini e le tradizioni gastronomiche. Estremismo ed integralismo vengono spesso erroneamente associati al veganismo, ma crediamo davvero che sia corretto legare queste definizioni a chi fa una scelta etica? Una scelta etica è dettata dalla consapevolezza che gli animali soffrono tanto quanto noi esseri umani e che spesso lo sfruttamento animale ha ripercussioni non solo su di loro, ma ha un impatto ambientale devastante, considerando che l’80% dei gas serra emessi dal sistema alimentare di oggi è associato all’allevamento di bestiame attraverso l’utilizzo smodato di pesticidi, fertilizzanti, carburanti, grandi appezzamenti di terreno e milioni di tonnellate d’acqua. Questi sono dati di fatto e ne abbiamo testimonianze ogni giorno. Il veganismo non è quindi integralismo, bensì integrità etica.
Non vogliatemene, non sono affatto intenzionata a fare la morale a nessuno, mai l’ho fatto e mai lo farò, tantomeno voglio insegnare nulla di quanto non sia già ovvio e sotto gli occhi di tutti. Ho imparato che bisogna sempre ascoltare. Ed io ascolto, leggo e mi informo. Parlo molto più spesso con persone che vegane non sono, da cui spesso ottengo delle conferme oggettive. Tempo fa conobbi una persona molto importante nel mondo degli allevamenti (di cui per ovvie ragioni non citerò il nome e la tipologia della sua azienda) ebbene, questa persona durante una cena vegana organizzata da me, ammise con estrema sincerità e senza tanti giri di parole che tra vent’anni ed anche meno, la Terra non sarà più in grado di reggere i ritmi degli allevamenti intensivi causandone il collasso.
A questo punto gli proposi di iniziare a pensare ad una sorta di conversione della sua azienda in un’altra tipologia che fosse cruelty free, senza sfruttamento animale e che mirasse alla salvaguardia del futuro, compreso quello dei suoi figli.
La sua risposta fu che sarebbe stato disponibile a farlo, solo dal momento in cui la domanda di mercato fosse diventata discretamente alta e gli avesse permesso i guadagni attuali. La sua è stata un’ammissione obiettiva della realtà che difficilmente sentirò pronunciare ancora da chi lavora nel suo stesso settore.
Con ciò voglio solo dire che le informazioni ci sono, ma spesso vengono deviate e sono incomplete. Le tradizioni e la nostra cultura gastronomica non sono certo basate su allevamenti intensivi e consumo smodato di carne. I nostri nonni consumavano carne forse una volta a settimana in porzioni ridotte rispetto a quelle attuali; quel poco veniva messo a disposizione e condiviso tra tutti i commensali; la tradizione culinaria italiana è basata su alimenti semplici e vegetali e non è determinata esclusivamente da motivazioni di carattere economico.
In fondo basterebbe un po’ più di onestà intellettuale e di trasparenza ed ammettere l’evidenza dei fatti che probabilmente è solo molto scomoda e che nei dibattiti televisivi non fa audience tanto quanto le scenette montate ad arte per ridicolizzare la scelta vegana facendola apparire come una filosofia di vita da “hippie” senza capo, né coda.
L’integralismo e l’estremismo non stanno al veganismo, piuttosto stanno in codeste manifestazioni mediatiche che, anziché operare per il bene comune affrontando l’argomento in maniera costruttiva, promuovono la loro ideologia denigrando il resto, inducendo buona parte del pubblico ad avere una visione della realtà distorta attraverso operazioni di disinformazione. Essere costruttivi vuol dire scoprire tutte le carte sul tavolo, pesare i pro ed i contro di ogni posizione e valutarne conseguenze e soluzioni a beneficio di tutti.
Divulgare il veganismo non ha come scopo fare proselitismi ed opere di convincimento: la scelta etica vegana è una scelta consapevole determinata dalla sensibilità e dalla compassione di ognuno di noi. Se c’è disinformazione, c’è diseducazione. Se circolano informazioni inesatte e fuorvianti, pochi mostreranno empatia e sensibilità all’argomento.
La mia speranza è che presto si affrontino questi temi responsabilmente attraverso tutti i canali di informazione che abbiamo a disposizione. Nel frattempo continuerò il mio lavoro di divulgazione per una corretta e libera informazione e che sia a disposizione di ognuno, sfruttando tutte le opportunità che mi si presenteranno. Un sincero grazie lo devo a La Màdia Travelfood che mi ospita e concede generosamente questo spazio, credendo in me e nella mia attività senza preconcetti e chiusure.
Salutiamo il mese di maggio con questo cous cous con salsa al mandarino, aria di mandorle e mandorle tostate, un’esplosione di colori e profumi tipici della Sicilia.
Ricetta donata da Maurizio Urso chef del ristorante “La terrazza sul mare” situato in Viale Mazzini, 12 sull’isolotto di Ortigia direttamente collegato con la città di Siracusa.
Cous cous con salsa al mandarino, aria di mandorle e mandorle tostate
INGREDIENTI per 10 persone
g. 200 di rape rosse, g. 200 di carote, g. 200 di carote rosse, g. 200 di cime di cavolfiore, g. 200 di cimone romano, g. 200 di patate siracusane, g. 200 di zucchine, g. 200 di sedano, g. 200 di peperone, g. 200 di mandorle di Avola, g. 400 di succo di mandarino, g. 200 di olio extravergine di oliva tonda iblea, g. 15 di polvere di mandarino, sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO
Per il cous cous: lavare bene gli ortaggi, affettarli sottilmente, meglio se con una mandolina, e ridurre in finissima mirepoix. Escludere il cavolfiore ed il cimone di cui, con uno spelucchino curvo, andremo a tagliare i fiori con molta cura (la parte finale del cavolfiore); tritare col coltello.
Scottare tutti gli ortaggi per un minuto in acqua bollente con un pizzico di sale (si possono poi mettere insieme o lasciarli ognuno per conto proprio e giocare nell’assiette con i colori), quindi unire il dressing di mandarino e la polvere di mandarino (che si ottiene essiccando la scorza del mandarino da frullare e da passare a chinoise), sale, pepe, olio extravergine di oliva. Lasciare riposare per 30 minuti.
Per l’aria di mandorle: frullare 100 grammi di mandorle in 200 grammi di acqua, lasciare riposare e poi passare il tutto alla stamina strizzandola. Ripetere l’operazione più volte, quindi portare il liquido a 50/60C° unendo 10 grammi di lecitina di soia e frustare velocemente facendo in modo di far emergere una schiuma (aria di mandorla). Con un cucchiaio raccoglierla e porla sul cous cous.
Per il dressing al mandarino: con un minipimer emulsionare il succo di mandarino con l’olio extravergine di oliva ed eventualmente aggiungere una lamella di aglio, sale e pepe.
Assiette del piatto: porre un coppapasta sulla base di un piatto e riempirlo con cime di cavolfiore o altro ortaggio; mettere insieme il resto degli ortaggi e, con un cucchiaio, porli sul piatto. Aggiungervi il cous cous, la mandorla tostata e tritata e qualche mandorla intera. Finire nappando ancora con del dressing di mandarino, un po’ di polvere di mandarino e, a piacere, fiori, erbette e un ciliegino confit.