Le pietre normanne del castello impregnate di brume autunnali; dietro lo skyline delle colline, in lontananza, un sospetto di mare; mandrie di mucche al pascolo fra filari di nebbiolo e di moscato, idrocarburi da tartufo sotto il pendolo rosso dei pomodori. C’è un po’ di Puglia nel paesaggio di Serralunga d’Alba, da quando Pasquale Laera, due anni fa, ha assunto il controllo di tutte le cucine del Boscareto Resort, cinque stelle lusso di recentissima costruzione circondato da viti che rampicano pure sugli arredi. Un’astronave che ha portato il turismo di lusso nel paradiso dei golosi, dove il food non può che occupare posizioni di rilievo.
I punti di ristoro sono diversi, per un totale di 400 metri quadrati abbondanti di cucina: oltre al comune room service con relative room amenities e colazioni, il bistrot, lo spazio eventi e la mensa per un personale che conta 100 unità; soprattutto il ristorante stellato La Rei, con i suoi 30 coperti che, durante la stagione del tartufo, si dilatano in una sala più ampia. Ovunque detta legge, come un illuminato re bambino, Pasquale Laera, che sua maestà Antonino Cannavacciuolo, consulente della struttura da due anni, ha nominato resident chef quando era suo secondo, appena ventiquattrenne.
Come il maestro, anche l’allievo arriva da sud, per la precisione da Gioia del Colle. “Ed essendo cresciuto in un contesto rurale, credo di partire in un certo senso avvantaggiato, perché conosco i prodotti; da noi è ancora normale barattare una cassetta di verdura col vicino”.
Poi c’è tutta un’enciclopedia gustativa assemblata nelle case, dove mamme, zie e nonne cucinano ancora come una volta. Tanto quotidiano e universale quel mangiare, che non è scontato pensare di farne una professione. “Nel mio caso l’avvicinamento è stato graduale. Per pagarmi i primi anni al liceo classico ho iniziato a lavorare come cameriere in un ristorante di cucina pugliese e sono stato catturato subito dal sentimento di gratificazione. Al fine di guadagnare di più, una volta lasciata la scuola attaccavo presto in cucina, su mia iniziativa personale, prima di passare in sala. In questo modo riuscivo a mantenermi con le mance, mentre lo stipendio formava il gruzzoletto che mi avrebbe consentito di frequentare Alma”.
A Villa Crespi Laera arriva nello stage di fine corso, per fermarsi quasi 6 anni: dapprima è commis, poi chef de partie agli antipasti e ai secondi – la partita che predilige perché gioca da pivot, in mano i fondi con cui andare insieme a canestro – ma anche jolly in pasticceria e, finalmente, secondo.
“A un certo punto volevo scappare perché non reggevo orari e ritmi di lavoro. Fu Luciano Tona, direttore didattico di Alma, a chiedermi una riflessione supplementare. ‘Quale chef vuoi lasciare?’. ‘Cannavacciuolo’. ‘Vuoi lasciare CAN-NA-VAC-CIUO-LO? E per andare da chi?’.
La risposta sta nel fatto che io, qui al Boscareto Resort, sono cresciuto e ho imparato tante cose: a gestire una brigata e un’impresa, come cuoco ad alternare i territori.
La nostra cucina vuole portare in viaggio l’ospite.
Ciò che cerchiamo è il gusto italiano, anche quello un po’ ignorante dell’aglio e del prezzemolo, di un soffritto fatto bene, della griglia e delle pentole di coccio, per cuocere i legumi come a casa: basta guardare la gente in faccia per vedere l’effetto che fa. I piatti passano tutti al vaglio di Cannavacciuolo, che ad ogni cambio di carta arriva per fare l’integrale e vuol essere aggiornato settimanalmente su come procede il ristorante. Praticamente sul gourmet, dove mi diverto, ho carta bianca; ma mi sento doppiamente responsabile, per me e per Cannavacciuolo”.
Degli approvvigionamenti si occupa in gran parte lo chef, che una volta alla settimana si reca nella macelleria di paese e al caseificio per i latticini di bufala; poi ci sono i prodotti di giù, come le carote di Polignano, sapide e intense fin dal colore, le rape navoni e i peperoni cruschi della Basilicata. Con Laera in brigata lavorano 12 elementi, molti dei quali provenienti da Orta San Giulio, fra cui il sous-chef Gabriele Tratzi. Rinnovano quasi quotidianamente la linea di una cucina che conserva l’energia e la freschezza del sud, senza sbavature né esitazioni. Così solida che si teme Laera possa arrestarsi ai risultati già raggiunti, nonostante l’entusiasmo. Sembra tuttavia che non sia questo il caso, se è vero che durante le ferie le valigie si posano nei luoghi clou di una formazione professionale ininterrotta. L’anno scorso in Giappone, paese che ha lasciato evidenti tracce a mandorla in menu. L’impressione è quella di trovarsi in piena transizione: ancora nitida l’impronta classico-mediterranea di Cannavacciuolo, è lo stile Laera a premere qua e là, con i primi azzardi creativi.
IL SUD SU UN IMPIANTO NORDICO
La piccola degustazione si compone di 6 portate al prezzo di 75 euro, la grande di 7 a 90; con l’alternativa in stagione di un menu tartufo da 5 corse a 200 euro. Il tastevin è appeso al collo di Fabio Mirici Cappa, che amministra una carta da 1200 etichette, fra le cui righe spiccano i vini di famiglia, Beni di Batasiolo, tanto territorio con qualche bella escapade in Borgogna e bianchi in pole position per l’abbinamento. Bottiglie disponibili anche per il servizio al bicchiere, con matrimoni della casa oppure concordati con l’ospite.
“Un cuoco non può essere grande da solo. Per questo ringrazio sempre i ragazzi della brigata, di cui devo conquistare la fiducia, a maggior ragione quando sono più grandi di me”. Lo dichiarano gli appetizer serviti a inizio pasto, uno per ogni regione di appartenenza dei cuochi, elaborati in base alle loro proposte, poi risistemate con Laera. Quindi la spuma di baccalà con puntarelle e acciughe, i tortellini croccanti con mortadella e pistacchi, la roccia di alghe alla bottarga, i grissini al salame, il finto tartufo di pâté e Porto… Le consistenze sono croccanti e musicali, come le chips di un aperitivo, ma suonano il ritornello di un aperitivo all’italiana.
Il primo antipasto, il cannolo ripieno di spuma di ricotta di bufala con salsiccia di Bra e mousse di castagna, arriva da Villa Crespi, dove Cannavacciuolo lo bocciò a causa di un problema tecnico nel trasporto dalla cucina. A seconda della stagione la composizione cambia: adesso la cialda è composta di purea di cipolla cotta in forno e isomalto, in estate di melanzana. Più sperimentale il gambero passato per pochi secondi sul vapore di vermut Cocchi, che regala un leggero amaro e una notevole persistenza, servito in omaggio ai vini della casa con uva di nebbiolo in diversi stati e una terrina di foie gras, sempre al Vermut. Dove i tannini delle vinacce essiccate e polverizzate e l’acidità tagliente del succo nebulizzato e testurizzato neutralizzano la grassezza e la succulenza degli ingredienti principali. E, ancora, il peperone ripieno destrutturato, con il cubo di tonno crudo in omaggio alle forme picassiane di Cannavacciuolo, salsa bernese e di acciughe, riduzione di peperoni gialli e rossi, polvere di capperi e olive taggiasche. L’esasperazione di una voga acida tutta piemontese, dove il crudo prende il posto del cotto, il solido del cremoso, il condimento del condito.
I primi mettono in atto quell’alternanza fra territori, di cui Laera parla a proposito di Cannavacciuolo. La cloche si solleva prima sugli agnolotti di tomin dal mel con crema di cavolfiore, acciughe e tartufo bianco, costruiti sul canovaccio di associazioni consuete; poi, con abile coup-de-théâtre, sopra spaghetti lessati nel fumetto di pesce, poi saltati con peperoni cruschi in polvere che assumono le sembianze di pomodori. Completano il piatto i totanetti appena scaldati dalla pasta e un cordone di crema di baccalà, che ammorbidisce il tutto. Il contrasto è pulito, senza contaminazioni fra le due cucine, che sprigionano la scintilla di uno choc spiazzante. Ma c’è anche pasta e cozze, icona del ristorante, con i tubettini cotti nell’acqua dei molluschi mista a fumetto, che fanno storcere il naso ai gourmet per l’apparenza ospedaliera, ma insieme alle patate e alla colatura di alici strappano l’applauso.
L’anguilla è un ricordo del Giappone: viene preparata secondo la tecnica tradizionale (quindi sfilettata, passata al vapore per togliere le spine, schiacciata su una griglia sotto un peso e poi disposta a strati in una terrina, cotta per una notte, raffreddata e porzionata), ma la glassatura finale sotto la salamandra viene compiuta con una riduzione di Moscato d’Asti della casa, addizionata di fondo di vitello. Completano il piatto una fettina di foie gras crudo e sapido, marinato nello stesso vino con spezie varie, e la crema di sedano rapa.
La passione di Laera però sono i secondi di terra, come il piccione, che viene cotto in padella, senza bassa temperatura, e servito con la coscetta nella retina di maiale e l’aletta impanata e fritta, una salsa di seirass del fen dalla leggera acidità, il classico fondo e un nido di tagliatelle di daikon che strizzano l’occhio alle guarnizioni d’Oltralpe. Seguono il trompe-l’oeil del finto uovo di cioccolato bianco e purea di cachi, su crumble di nocciole con finitura al tartufo, parodia di un rito piemontese, e una scelta di dessert di impianto classico.
RISTORANTE LA REI
Il Boscareto Resort & Spa
Via Roddino 21
12050 Serralunga d’Alba (CN)
Tel. +39 0173 613036
Fax +39 0173 613041