La Sardegna che non c’era ha una segnaletica gourmet: viale Regina Margherita 28, salendo dal lungomare di Cagliari verso la città vecchia, a pochi passi dai tavoli affollati dei due fortunati locali di Luigi Pomata, dove brulica la movida fino alle ore piccole. È lì che dal 1967 la famiglia Deidda alza ogni mattina le saracinesche del Corsaro, ristorante dai rassicuranti arredi d’antan, i lampadari in ferro battuto, le tovaglie candide, le stampe alle pareti, che fanno salire in bocca un’irresistibile acquolina classicista. Sono rimasti più o meno gli stessi, da quando i nonni Ester e Filippo conquistarono la prima stella Michelin sarda, lei in sala, lui regista a tutto campo del locale, ideatore della cucina, sommelier e artefice dell’approdo Ais sull’isola. In tavola i grandi classici regionali, quali la fregula con le vongole, i ravioli di cipolla con il pecorino e l’anguilla incasada. Un testimone poi trasmesso al figlio Gianluigi e alla moglie Giuseppina, responsabili il primo della gestione e degli acquisti, la seconda, eminenza AIS, del servizio e della cantina. Ai loro ordini una brigata di cuochi affaccendata su materie prime top, dalle orziadas all’aragosta, al tartufo bianco. “Ed erano piatti ben eseguiti”, ricorda oggi il figlio Stefano, “per quanto mancasse la cerebralità, un concetto insomma da portare avanti”.
La sacralità del lavoro
“Mi sono sempre sentito attratto dalla cucina, ma in famiglia avevano altre aspettative. Non volevano che intraprendessi una carriera lastricata di sacrifici, così dopo il liceo scientifico mi sono iscritto a giurisprudenza, che ho frequentato per diversi anni ottenendo buoni risultati. Dentro di me tuttavia desideravo altro, così ho detto ai miei: ‘O mi fate cucinare o prendo e vado a bottega altrove’. Loro mi hanno messo alla prova per un anno, poi si sono aperte le porte di Alma, che era al suo secondo anno di attività. Lo stage l’ho fatto al Principe di Savoia di Milano con Paola Budel, che ricordo tanto delicata sul piatto quanto ferma nel dirigere una brigata di 80 elementi, e all’esame finale mi sono classificato primo. Perché ci avevo messo anima e cuore, nonostante, da figlio di ristoratori, in cucina non ci avessi quasi messo piede”.
“La mia formazione ho deciso di proseguirla presso una serie di case importanti, in crescendo sotto il profilo dell’organizzazione e delle dimensioni della brigata, in modo da non trovarmi spaesato ma al posto giusto nel momento giusto, in condizione di carpire con gli occhi e trarre il massimo profitto. Partendo da Riccardo Camanini a Villa Fiordaliso, che mi ha trasmesso il rigore e la disciplina, l’approccio di grande rispetto alle materie prime e il senso di sacralità di questo lavoro, perché è costantemente alla ricerca della perfezione nel minimo dettaglio, che si tratti della realizzazione di un piatto o dell’organizzazione della brigata. Iper preciso. Poi Claudio Sadler, per l’eclettismo e le capacità manageriali, e Tonino Cannavacciuolo, per la fusion partenopeo-piemontese e la tecnica applicata a materie prime di lusso, che si amino o meno. Per finire Berasategui in Spagna, dove la brigata era di 50 cuochi per 25 coperti e la linea veniva rifatta interamente ogni giorno, fondi compresi. Qualcosa di inconcepibile, oggi che è in voga lo scarto zero”.
Le contaminazioni spagnole e scandinave
“Sono tornato nel 2011 e ho subito cominciato a formulare la mia cucina. Pian piano ho fatto passare le mie idee, fino a stravolgere praticamente tutto.
Oggi mi riconosco in una scuola italiana fatta di grande pulizia, sottrazione e concentrazione, ma mi piace integrarla con suggestioni spagnole e anche scandinave, per il fascino di quanto è freddo e ruvido. Vedo la mia strada in una sintesi di tutto ciò che mi piace, che parta dall’esaltazione della materia prima sarda attraverso tecniche avanzate. Cercando di mettere al centro il concetto e di raccontare sempre qualcosa. Perché continuo a studiare, ogni giorno”. Il risultato è una Sardegna inattesa, contemporanea nella concezione e nelle tecniche, preannunciata da impiattati suggestivamente informali, con una vocazione spiccata per la monografia.
Cuoco straordinariamente riflessivo, il corsaro Stefano tiene la sciabola in bocca, per colpire di taglio, di punta e anche di controtaglio. Pronto all’arrembaggio su una scena gastronomica paciosa.
Dietro la stessa soglia del gourmet, manda avanti anche il bistrot The Fork, dove serve un lunch a 15 euro e una carta di piatti più semplici, di prezzo compreso fra 10 e 25 euro. Li compongono il pesce e gli ortaggi di due mercati cagliaritani, quello grande di San Benedetto e quello raccolto di via Quirra, con tanti microproduttori che non sempre garantiscono volumi e continuità. L’approvvigionamento è quasi quotidiano, senza disdegnare abbattimento e sottovuoto. I formaggi sono quelli di Giuseppe Cugusi, poi ci sono l’uva vermentino da essiccare in cantina, il pane carasau di Ovodda, le uova bio e il latte di pecora dei pastori, il miele e il polline di una cooperativa. “Mi muovo tantissimo per tessere la mia rete di piccoli produttori. Perché tutto passa dalla materia prima”. Della cantina si occupa invece Giuseppina, allieva del suocero Filippo, che ha selezionato 400 etichette non solo sarde e non solo italiane, blasonate o inconsuete, e le sbicchiera volentieri alla ricerca della massima soddisfazione dell’ospite.
Non ci sono alternative ai due degustazione: La mia Sardegna, con 6 portate, appetizer e piccola pasticceria a 65 euro, e Cucina in movimento, più personale, ma altrettanto stagionale e territoriale, che ne conta due in più a 80. Fra gli antipasti risalta il muggine affumicato con colatura di pomodoro e neve di yogurt, dove il pesce è rassodato in salamoia, poi affumicato a freddo con fieno e legno non resinoso e cotto sottovuoto, per un esito sorprendente, sospeso fra acqua e fuoco; la colatura è una specie di gazpacho lasciato filtrare per una notte alla stamina; l’acidità è rafforzata dal latticino, di pecora o capra. Ma ci sono anche la seppia cruda alla brace, che scherza su un must delle osterie adiacenti, rovesciando il crudo in cotto ed evocando la carbonizzazione con una cialda al nero impalpabile come cenere; oppure il Prato, paesaggio commestibile che ritrae il Campidano bucolico sopra un letto di cagliata di capra.
Fra i primi lo spaghetto con caglio di capretto e acciughe, due ingredienti dalla personalità prepotente, entrambi fermentati, che si esaltano vicendevolmente, rispolverando in un monogusto sapido lo schema del binomio lattico-ittico. Un piatto azzardato ma stimolante, intensamente arcaico. Oppure i ravioli zucca e zucca, monografia che disarticola l’ingrediente in farcia al forno, dadi canditi in brodo caramellato di zucca, glassa di riduzione di zucca e alghe per l’umami. Un piatto tecnico e complesso, dalle testure virtuosistiche.
I secondi convertono le guarnizioni in salse dalla consistenza orientale: il dentice a bassa temperatura con riduzione di carota e senape e la sogliola affumicata a freddo con riduzione di melanzana alla brace e crema di riso. Per dessert il gelato di ricotta di pecora, polline e miele di corbezzolo.
ristorante dal corsaro
Viale Regina Margherita, 28 – 09100 Cagliari
Tel. +39.070664318 – Fax +39.070653439
www.dalcorsaro.com