Educato secondo la severa disciplina giapponese che ha ingentilito con i sapori del natio Perù, nel suo ristorante, il Maido, Mitsuharu Tsumura riesce ad ottenere una fusione perfetta tra le due culture che rappresentano le sue radici.
Mitsuharu Tsumura è nikkei: nasce a Lima, Perù, ma i suoi antenati sono giapponesi che, oltre al nome, gli hanno lasciato in eredità anche la passione per la cucina. Si narra che Angelica, sua nonna, morta prima che Mitsuharu nascesse, fosse un’eccellente creatrice di nuovi sapori e che avesse l’abitudine di riunire varie persone attorno alla sua tavola.
Con questo bagaglio culturale sulle spalle, il giovane Tsumura decide di partire per gli Stati Uniti, grazie all’appoggio del padre, per trasformare la sua passione gastronomica in una vera e propria professione.
Studia presso la Johnson & Wales University di Providence, nel Rhode Island, e poi, dopo un breve rientro in patria, decide di intraprendere un viaggio in Giappone, con un unico scopo: imparare a preparare il sushi nella terra dove questo cibo è nato. Ha solo 21 anni, un perfetto dominio della lingua giapponese e raccomandazioni in quantità a livello gastronomico. Nonostante ciò ha avuto bisogno dell’aiuto dei suoi nonni paterni, che vivevano in quel Paese, per potersi inserire nel durissimo mercato del lavoro giapponese.
La sua prima esperienza avviene presso il Seto Sushi, un ristorante abbastanza rinomato e il cui proprietario è un certo signor Hirai, amico di suo nonno. “Non ti pagherò nulla, ma puoi pranzare e cenare qui e usare questo luogo per imparare”, questa è stata l’offerta lavorativa che Tsumura ha accettato di buon grado. I primi quattro mesi sono stati i più difficili: gli era permesso solo di lavare le pentole e guardare i cuochi lavorare. Non gli era permesso nemmeno di far uso degli spunti che andava accumulando per mettere in pratica la sua esperienza: ogni ingrediente era molto prezioso e non lo poteva utilizzare personalmente. Nella filosofia del lavoro giapponese non è dato di saltare nessun passo verso l’obiettivo finale. Il livello successivo, dopo aver dimostrato di saper lavare pentole in modo eccellente, è stato quello di affilare i coltelli.
Si sono susseguite diverse abilità: selezionare e lavare il pesce, verificare che tutto fosse fresco, preparare i vassoi, le postazioni, imparare a cucinare il riso, cucinare per il personale, ed infine, servire al bancone, all’inizio preparando i piatti caldi e poi, due anni dopo che aveva messo piede in quel ristorante, il sushi. “Di quel periodo conservo diversi quaderni pieni di note e foto per catturare i dettagli di ogni tecnica: c’era così tanto da imparare che avevo paura di dimenticare”, racconta oggi Tsumura.
Il ritorno dal Giappone
Dopo altri otto mesi in Giappone, riceve la chiamata che gli permette di tornare in patria: era lo Sheraton di Lima, presso il quale aveva realizzato alcuni tirocini, che lo invitava a far parte della sua quadra di chef. Dopo aver ricoperto alcuni incarichi inferiori, nei quali ha comunque saputo farsi apprezzare per la sua conoscenza della cucina giapponese, arriva a soli 25 anni ad occupare l’incarico di responsabile degli Alimenti e delle Bevande, con ben 160 persone alle sue dipendenze.
“Qui ho imparato due cose che sarebbero state fondamentali per il resto della mia carriera: da una parte la capacità di organizzare e gestire la produzione di una cucina e dall’altra la possibilità di accedere ai sapori locali”, ammette Tsumura. Il fatto di essersi concentrato per tanto tempo sui palati giapponesi gli aveva fatto perdere di vista le eccellenze della cucina peruviana, che ha ritrovato grazie a questo impiego. Il suo lavoro era eccellente. Al punto che la famosa catena alberghiera gli offre, a soli 28 anni, di trasformarsi nel Responsabile Generale più giovane al mondo.
La proposta era allettante, ma i suoi sogni andavano in altre direzioni. Per la seconda volta deve fare i conti con l’appoggio inestimabile del padre. “Figlio mio, mi hai dimostrato di essere un buon lavoratore e per questo ho deciso di investire su di te. Apri il tuo ristorante, io ti appoggio”, sono state queste le parole chiave che hanno dato la soluzione al suo forte dilemma. E’ così che nasce il Maido: un ristorante di fusione tra i concetti di cucina giapponese e peruviana, che gli permette di unire le sue due radici. “Tutto ciò che offro qui nasce dalla mia immaginazione, che si nutre dei miei ricordi e delle mie esperienze fino a diventare un sapore reale”, è in questi termini che definisce l’offerta del suo locale.
“Il paese ha così tanto da offrire, che conoscere l’origine di ciascun prodotto, contribuire alla sua sostenibilità, sapere chi lo ha coltivato o chi lo ha pescato è molto di più di una semplice ispirazione, e significa condividere la sua storia; di fatto quando qualcuno è capace di raccontare la storia di un Paese servendola in un piatto, allora è capace anche di esprimere davvero cosa vuol dire Perù”, sintetizza.
Tra i migliori al mondo
Il Maido, che si trova nel quartiere aristocratico di Miraflores, nella capitale peruviana, occupa il posto numero 13 nella classifica “The World’s Best 50 Restaurantes America Latina” e brilla di un ulteriore merito: è stato, durante l’ultima edizione, il locale che più è salito in classifica rispetto alla sua posizione precedente. Secondo lo chef, la cucina nikkei nasce espressamente da una complessa storia conosciuta come “Perù” e da un’altra storia, lontana, sconosciuta ma non meno complessa, che si chiama “Giappone”, due storie che si sono ritrovate a convivere in armonia per creare questa terza realtà.
“Qui il cuoco non è il protagonista, ma sono gli ingredienti di prima qualità che permettono all’artista la creazione di un’opera unica.”, assicura, con umiltà giapponese, lo chef. “Si fa di tutto affinché il cliente possa vivere un’autentica esperienza nikkei”. Secondo le parole dello stesso Tsumura, questa meravigliosa cucina è il riflesso dell’influenza giapponese nella gastronomia peruviana. “Gli ingredienti delle due culture si completano a vicenda come se fossero nate per stare insieme: è una cucina onesta, con una consistenza e un sapore unici”, aggiunge.
Spiega inoltre: “Le cucine sono come gli alberi genealogici, si ridefiniscono continuamente, si arricchiscono nelle loro identità originarie attraverso una intensa interculturalità che è anche la base della storia di tutte le civiltà, fin dai tempi in cui gli uomini si sono scambiati le prime parole, prodotti, idee, abitudini. Cucina “fusion” non vuol dire altro che cucina tout court: tanto eloquente è la parola che ne racchiude la sua azione intrinseca”.
Anche il nome del ristorante definisce la filosofia di Tsumura: Maido vuol dire “Benvenuto” e rappresenta, tra i vari modi che esistono in Giappone per esprimere questo saluto, la più significativa. “Riassume il nostro sentimento di far sì che ogni persona che entra in questo locale si senta come a casa propria”, conclude lo chef.