Quaranta metri in linea d’aria e il desiderio di viziare: sono pochi ma irreversibili i passi che separano la vecchia sede del Pashà dalla nuova reggia di Maria Cicorella e Antonello Magistà, da un lato all’altro di Piazza Castello a Conversano. Negli scatoloni uno dei ristoranti che meglio esemplificano il rinascimento gastronomico pugliese grazie a un mix originale di cultura gastronomica, saperi e gusti femminili.
Sono ormai deserti gli spazi sopra il bar di famiglia, inaugurato nel 1983 dai coniugi Magistà, lei cuoca nella gastronomia di famiglia, convertita alla pasticceria e alla gelateria, lui venditore ambulante di legumi. “È fra le sue mura che sono cresciuto”, racconta oggi Antonello. “Con un tavolino in mezzo agli avventori per fare i compiti e studiare.
Ed è così, ampliando l’offerta agli aperitivi e dandomi da fare, che si sono sviluppate le passioni per il vino, fino a diventare sommelier AIS, e per il rapporto con gli ospiti.
Dicevano ‘Andiamo dal pashà’, perché era il mio soprannome fin da piccolo, a causa di una certa propensione per la comodità, quando mi spaparanzavo sul divano oppure al sole, mentre i miei amici rincorrevano la palla nel mandorleto”.
La fondazione del ristorante risale al 1998, quando si libera lo studio dell’architetto sopra al bar: inizialmente si pensa a una sala da tè, poi Antonello, che nel frattempo ha scoperto l’alta ristorazione, decide di prendervi domicilio con la sua ambizione. “Erano anni che litigavo con i miei amici, se spendere le nostre quattro lire in discoteca o a tavola. Raggranellando i miei risparmi ero riuscito a farmi una certa esperienza, da Vissani, Aimo e Nadia, Sadler, Santin, Berton, Arnolfo, Uliassi… Anche se non avrei mai pensato di farne una professione”. In cucina arruola tre cuochi, poi nell’emergenza di un’operazione al menisco scatta il turno della riserva Maria Cicorella, quarantunenne priva di qualsiasi formazione professionale, cresciuta però sfamando i suoi fratelli minori, tanto da aver sfornato la prima tiella di agnello e lampascioni a 6 anni.
A scuola da Sadler
La partenza è con il freno tirato, per fare impratichire la cuoca senza annoiare gli ospiti: la carta elenca tre proposte per portata sottoposte a rotazione mensile, di impronta regionale ma con un’attenzione particolare per le materie prime, grazie agli approvvigionamenti di prossimità curati da Antonello, appassionato di prodotto. Poi pian piano la complessità cresce, fino a piatti miliari come il filetto di dentice con cime di rape, foie gras e lime. Tutte ricette messe a punto insieme, temperando il tradizionalismo di Maria, desiderosa di scavare fra le sue radici, con l’inquietudine di Antonello, più contemporaneo nella sensibilità e nel palato, anche a costo di litigare. E per un anno e mezzo nel giorno di chiusura la cuoca prende l’aereo all’alba e rientra la sera per affiancare Claudio Sadler, anch’egli appassionato di prodotti pugliesi.
In seminario..
La stella Michelin, datata 2014, finisce negli scatoloni il 27 marzo. La destinazione è il Seminario Vescovile, imponente edificio seicentesco su cui campeggia l’iscrizione “Crescamus in illo per omnia” (è proprio il caso di ricordarlo). Il piano terra, un tempo adibito a spazio di ricreazione per i seminaristi, fra pingpong e biliardini, era stato già convertito in ristorante per una gestione di suore. Sono 600 metri quadrati fra interni, cantina e spazi esterni in giardino, nei quali sparpagliare ancora più comodamente i 30 coperti del Pashà fra calce bianca, chianca e pietra viva. Un’austerità riscaldata da arredi estrosi, che si tratti di lampade, quadri o specchiere, in un tripudio di dettagli ricercati, che spesso trovano la scintilla nel contrasto fra classico e moderno, antiquariato e design. L’atmosfera resta quella di una casa, pur sempre appartenente al figlio di un sultano, come di là della piazzetta, dove il vestibolo e il salottino risuonavano dei passi oltre la soglia.
Le scelte in cucina
E l’eleganza appena capricciosa resta la cifra di un professionista della sala con pochi eguali nel Meridione: affabile, solerte, defaticante nei gesti e nell’allure. Oltre a dire la sua sulla cucina, continua a fare acquisti dentro un raggio di 25 chilometri, ma senza dogmatismi. Con il pesce di Polignano, Savelletri e Gallipoli nelle celle riposano le carni locali, come asini e pollame di una masseria vicina, ma anche piccioni toscani e foie gras. Soprattutto ci sono le verdure di due contadini del posto e le farine dei mulini di Altamura e del Gargano per il cestino del pane, che comprende taralli scaldatelli al vino bianco, fatti come una volta e ormai rari, grissini, pagnottelle al lievito madre con l’extravergine, il rosmarino e le mandorle, l’uva passa e il cioccolato per i formaggi.
Ma Antonello cura anche la carta dei vini, che viene riscritta annualmente in occasione del Vinitaly. Conta un migliaio di etichette, sempre più orientate sul versante naturali, per un terzo circa pugliesi, più tanto Piemonte e tanta Francia, bianchi austriaci e tedeschi. Su richiesta può prevedere un percorso di abbinamenti al calice personalizzato dal prezzo variabile.
I due binari della cucina fanno tappa in tre menu: Tradizione e semplicità, con i classici pugliesi, da fave e cicoria alle orecchiette, a 70 euro; Mamma Maria, incentrato sul pesce, a 90 euro e Capricci, che declina un prodotto tipico in 10 corse stagionali, per un prezzo che oscilla fra 120 e 160 euro nel caso del tartufo, anch’esso locale.
Dopo gli immancabili appetizer, fra gli antipasti può arrivare in tavola la triglia leggermente marinata al bergamotto e nappata di spuma al pomodoro verde, completo di ramo per il sentore di foglia che teletrasporta in campagna, più i semi di camone sul fondo e le uova di salmone Balik. Un monocromo che converte in bianco la classica triglia alla livornese, di cui sposta il baricentro gustativo verso l’acidità, ben bilanciata dalla sapidità. Oppure la battuta di manzo podolico, che ironizza sulla ristorazione veloce che impazza nel retro delle macellerie. Quindi il cuore di una fiorentina molto alta passata sul grill, per il leggero sentore di cotto, lavorato al coltello e affumicato al tavolo sotto la cloche su un braciere dove ardono legno di faggio ed erbe aromatiche. Per guarnizione la maionese di gamberi, le mandorle fresche, puntarelle e spugna di yogurt. Ma c’è anche il minestrone, classico invariato della cuoca, con l’orzo perlato bio, la ratatouille minuta, gli sfilacci di fiori di zucca e un bouquet di erbe aromatiche, che tanto è piaciuto a Ducasse, servito a mo’ di intermezzo.
Fra i primi le sontuose orecchiette in formato maxi, preparate con semola biologica di senatore Cappelli da mamma Maria, usa a roteare il pollice verso l’esterno anziché il mignolo verso l’interno, come le signore di Bari. Straordinariamente carnose e callose, accolgono il condimento alla pari: il ragù di coniglio preparato con la tiella sfilacciata, le verdure novelle, il caciocavallo fuso, il tartufo nero della Basilicata. Oppure i tortelli di burrata con tartare di gambero rosso di Gallipoli, basilico greco e zuppa di pomodori acerbi agli agrumi in chaud-froid.
Antonello va matto per il piccione, che serve con un doppio contorno, di cicerchie di Altamura con cicoria ripassata per la tradizione e nespole al caffè per l’acidità e il tocco creativo. L’animella di vitello dal canto suo è servita con insalata romanella di Polignano, panna acida e tartufo nero.
Per dessert l’assoluto di mandorle, monografia dedicata alle mandorle di Conversano.
Quelle raccolte dal frantoio D’Orazio, lo stesso dell’olio in degustazione, sono sia fresche che tostate, sotto forma di gelato; presenti come crema di mandorle amare, biscotto e pane imbevuto nel liquore San Marzano, più una foglia di rucola per il contrappunto piccante su dolcezza e grassezza. Con l’alternativa di un soufflé da sultani, al limone con crema inglese alla vaniglia Bourbon, sorbetto al cioccolato fondente e sale di Maldon.
ristorante pasha
Via Morgantini, 2
70014 Conversano (BA)
Tel. +39 080 495 1079
Tel. +39 373 800 2809
www.ristorantepasha.com
info@ristorantepasha.com
fb.com/ristorantepasha