Una natura selvaggia e inebriante, una rete di magnifici canali d’acqua ritagliati da risaie, piccole città coloniali e templi maestosi immersi nella giungla che rappresentano uno dei vertici assoluti di bellezza nell’intero pianeta. E ancora, la vita notturna delle città emergenti come la capitale Phnom Penh, oltre al corollario di spiagge e isole tropicali ancora poco invase dal chiassoso turismo di massa. Con una voglia di riscatto che arriva dritta dalla generosità, dal carattere caparbio (anche se candido, gentilissimo) dei suoi abitanti, la Cambogia si appresta ad allinearsi alle nazioni di punta del continente asiatico, con numeri da record. Sette i milioni di turisti previsti per il 2020 (con un percentuale annuale di crescita di circa il 6%) e una sorta di accentuata «Cambomania» che si deduce anche dalla scelta di ambientare film (il recente Per primo hanno ucciso mio padre di Angelina Jolie, uscito da Netflix) e rilanciare anche in Italia libri come il besteller Il lungo nastro rosso di Loung Ung (Edizioni Piemme), che si aggiungono all’avvincente Cacciatori nel buio di Lawrence Osborne (Adelphi Edizioni) e a un classico come Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia di Terzani (Tea). D’altra parte, se arrivare in Cambogia negli anni Novanta era un’avventura temeraria e folle (con Pol Pot nascosto nella giungla e molti Khmer Rossi ancora in circolazione) oggi il decantato Paese delle meraviglie offre un ventaglio di possibilità che da sole valgono il viaggio.
A parte il tragico, ma civilissimo, istruttivo itinerario per scoprire la storia recente dei campi di concentramento (negli anni Settanta bastava portare gli occhiali sul naso o girare con una matita in tasca per essere trucidati, in quanto pericolosi sovversivi) ci sono innumerevoli attività, di fascino dirompente. Ad esempio, scoprire la religione dedicata al tempio di Buddha e l’olimpo dorato dell’hinduismo, visitando il centinaio di templi e pagode a Siem Reap e scalando i maestosi edifici in pietra, sommersi dalla giungla: magari concedendosi in più qualche suggestivo tramonto con lo sguardo che si adagia sui bassorilievi, i pannelli che illustrano epiche battaglie, come anche i volti di demoni e divinità che fiancheggiano gli ingressi.
Un’altra possibilità, dopo aver solcato le aree paludose o le rapide del Mekong è poi quella di visitare le imperdibili località coloniali. In primo luogo Battambang (anch’essa raggiungibile per via fluviale) dove, oltre ad un passaggio sul rustico treno di bambù, si ammirano bucolici villaggi e case di lontana matrice francese, affacciate sul lungofiume. E poi più a sud, verso il confine con il Vietnam, indugiare sul mare di Sihanoukville o bazzicare sulla costa che separa la piccola Kèp e l’incantevole Kampot (d’obbligo qui un passaggio ai mercati per acquistare il celebre pepe nero). Qualche idea in più? Farsi cullare su una barca in una notte di luna piena; girare in bicicletta tra i vicoli punteggiati dalle vecchie shophouse cinesi e, naturalmente, allungarsi al sole tropicale dell’isola di Koh Rong, fra distese di sabbia bianca e bungalow che bordeggiano la giungla lussureggiante.
Imperdibile guardare l’ultimo branco di esemplari di delfini d’acqua dolce, come anche visitare i villaggi delle comunità Bunong (nella privincia di Mondulkiri) dove si ammaestrano gli elefanti; ancora, affrontare qualche escursione naturalistica e trekking (naturalmente con una guida esperta) per avvistare cervi, orsi e bufali selvatici nell’area del Lumphat Wildlife Sanctuary. Tutto prima di ultimare la permanenza nella capitale Phnom Penh, dove dopo la visita al Palazzo Reale (con tetti rosso fuoco e pagode d’argento) è d’obbligo un’escursione alle isole della seta, dove le donne tessono ancora con rudimentali telai a mano.
A tavola
Le meraviglie della cucina cambogiana sono una possente attrazione per il visitatore, al di là dei popolari templi di Angkor Wat e delle pagode buddiste sparse nel paese.
E nulla hanno da invidiare alle prelibatezze del cibo thailandese o vietnamita. Il merito viene anche dalla semplicità dello stile di vita tipico dei villaggi, dove l’alto livello gastronomico si deve anche alle contaminazioni e alle influenze con le tradizioni indiane, cinese e persino d’occidente (si veda il proliferare delle baguettes alla francese). L’ingrediente-base di molti piatti è il riso, declinato in tutte le diverse qualità: dal profumato riso-gelsomino (malis) a quello più grezzo e selvatico.
Altro piatto ricorrente è il pesce (quello gigante del Melong, ma anche i piccoli bianchetti) da cui deriva l’inconfondibile prahok, una salsa di pesce fermentato che contraddistingue il sapore forte e pungente di molti piatti khmer, insaporiti da spezie, cardamono e pepe di Kampot.
Sono cinque però i piatti più frequenti, accompagnati dalla tipica Angkor (la marca più popolare di birra).
Famosissimo l’Amok, un filetto di pesce aromatizzato, ricoperto di kroeung (una pasta ottenuta dalla mescolanza di varie spezie) e avvolto da noccioline, latte di cocco e uova: autentica prelibatezza che viene bollito, oppure cotto in una foglia di banana. Quando ci si siede a colazione o si va alla ricerca dello street food è facile invece imbattersi nel Num Ban Chok, più noto nella dizione anglosassone di khmer noodles: spaghetti di riso con un curry verde a base di pesce, fatti andare in un intruglio delizioso di citronella, curcuma e limone di kaffir.
Per i carnivori c’è invece il Lok Lak, saltato in padella – cubetti di manzo con cipolle rosse, servite su un tappeto di lattughe, pomodori, cetrioli e succo di lime – o in alternativa il Kuy Teav, zuppa di spaghetti di riso con brodo di maiale (esiste anche una variante con interiora di porco e pesce). Sempre in tema di pesce spicca ancora il Kdam chaa, granchio fritto con pepe verde tipico dei mari del sud, ma davvero una delizia è anche il samlor machou bunlay (zuppa di pesce con ananas).
A parte il capitolo insalate nobilitato dal phlea sait kow (manzo, verdura, coriandolo e menta) una sezione a sé merita quella degli insetti, di cui i cambogiani vanno letteralmente ghiotti insieme a grilli, coleotteri, formiche, larve e tarantole fritte. Infine come tipico paese del sud-est asiatico la Cambogia offre un’ampia quantità frutta tropicale fra banane, ananas, noci di cocco, jackfruits e giganteschi durian dalla polpa succosa. (ldf)
Gli hotel
TEA HOUSE
Nella capitale Phnom Penh si può trovare rifugio in questo delizioso hotel, accolti in una hall coloratissima fra morbidi cuscini, lampade sgargianti, vasi antichi, tutto all’interno di un ambiente che mescola cineserie fiabesche e nitido design urbano. Tea House fa parte del gruppo Maads, deliziosa catena di boutique-hotel (fondata da Marie e Alexis de Suremain) diffusa in alcune città del Paese, che vanta anche ristoranti e negozi. La zona della città è rilassante, decisamente molto piacevole, e nello spazio esterno c’è anche un delizioso giardino tropicale. Oltre 30 le varietà di delizioso tè orientale, offerte di pomeriggio.
BLUE LIME
Sempre nella città principale del paese, a due passi dal Royal Palace e dal Museo Nazionale, spicca questo tranquillo hotel di charme, arredato in tono minimalista. Si direbbe un’autentica cool accomodation dalla quale ci si può appunto immergere in un balzo nell’eccitante e dinamica vita quotidiana della capitale, data una posizione che non potrebbe essere più centrale (non senza il bagno in una magnifica piscina fiancheggiata da cabine con tende bianche e circondata da alberi tropicali e folti banani verdeggianti).
TEMPLATION
La zona di Siem Reap rappresenta semplicemente il top, con le sue ville ecologiche circondate da giardini esotici: luogo semplicemente perfetto per blindarsi in un silenzio Zen dopo una lunga giornata passata fra i templi di Angkor Wat, divorati dalla giungla impenetrabile. Una vera oasi di calma, silenzio e bellezza, che appartiene alla catena Maads. L’hotel disponde di grandi camere impeccabili, curatissime – Junior Suites, Pool Suites e Pool Villas (ciascuna con piscina privata) – ma vanta anche una magnifica hall e l’ampia piscina circondata dal verde, oltre a un fantastico ristorante e una rinnovata area Spa & Fitness. A volte c’è persino l’opportunità di frequentare un corso di cucina locale, guidato dallo chef.
RAMBUTAN
Un’alternativa per chi vuol restare principalmente tra Siem Reap e Phnom Penh è convergere sulle oasi di moderno asian style rappresentato dalla catena del Rambutan, che ha scelto di chiamarsi come il classico frutto del drago simile al litchi. Quello di Phnom Penh, ad esempio, è una villa anni Sessanta ben ristrutturata, con camere minimaliste, pavimento in cemento lucido, immancabile piscina color acquamarina e tanti pezzi di arte contemporanea (come anche i più rustici setacci color giallo paglia) appesi alle pareti. Qualcosa del genere si ripropone anche nell’albergo-gemello di Siem Reap con qualche mobile vintage in più, pareti colorate in stile vagamente mediterraneo, dondoli in legno sulle terrazzo. Ottimo il servizio cucina.
PHUM BAITANG
In un certo senso l’esperienza è unica in questa sofisticata ricostruzione di un idilliaco villaggio di campagna cambogiana, tra risaie e piantagioni immacolate. È qui che ha soggiornato Angelina Jolie durante le riprese del suo film sugli anni del terrore in Cambogia e forse il passaparola ha funzionato, visto che è abitudine incontrare, nei tranquilli vialetti verdi che si percorrono (a piedi o in bicicletta) per raggiungere l’area ristorante, anche attori del jet set di Hollywood. Una residenza a 5 stelle con lussuosissimi cottages imperiali (circondati da 8 acri di giardino), Cigar & Cocktail Lounge, piscina a sfioro di 50 metri, ristorante con tappeti orientali e decori in legno di rattan. Tutto sembra persino troppo perfetto, un’atmosfera un po’ da Truman Show.
INDEPENDENCE HOTEL
È l’altro aspetto del lusso, un poco vintage e anni Sessanta che piace tanto ai nuovi ricchi cambogiani. Qui nella balneare Sihanoukville c’è questo storico hotel-grattacielo, fondato nel 1964 (9 anni dopo l’indipendenza della Cambogia) e frequentato dal jet-set mondano: un’icona che rammenta i fasti precedenti alla sanguinosa rivoluzione, quando il Paese sembrava aprirsi alla modernità e veniva visitato da attori come Chaplin, oltre a politici e vip. Non a caso, in alternativa alle deliziose villette al bordo del mare (con piscina privata) si può ancora soggiornare nella suite spettacolare che ha accolto la diva Jacqueline Kennedy nel ’67. Immancabile poi un po’ di relax, camminando tra i vialetti dei 22 acri di foresta e giardini tropicali, come anche sulla spiaggia dell’hotel, con bella vista sulle non lontane isole dell’arcipelago.
SOK SAN BEACH RESORT
È il luogo ideale per passare qualche giorno sul mare, dopo la doverosa scoperta di templi e storiche cittadine coloniali cambogiane. Già arrivando in barca si intravvede il lungo molo di legno che si protende tra le acque turchesi della baia, con la cintura di verde che circonda la spiaggia: amabile contorno per questo resort sull’isola di Koh Rong, che dista meno di un’ora via mare dalla principale città della costa, Sihanoukville.
Si possono fare innumerevoli attività e sport acquatici (kayak, diving, snorkeling) oltre all’immancabile giro in quad-bikes tra le piccole comunità nei villaggi sull’isola. E poi, al ritorno, ecco il meritato relax fra i massaggi nell’area spa, in alternativa all’aperitivo con vista tramonto al Sundeck Beach Bar. Gli chalet sono in tipico stile Khmer (con armatura in legno e letti con zanzariera) e quasi tutti poggiano su questa spiaggia incantevole che si apre su uno dei mari più belli del sudest asiatico.