Leoni alla conquista di Bologna
Bologna nostalgie. Quante volte abbiamo letto sui giornali, buon ultimo Aldo Cazzullo sul Corriere, della crisi del capoluogo dotto e grasso. Un destino (apparentemente) ineluttabile, che trovava come di consueto in tavola la sua cartina di tornasole, drammaticamente virata sui toni smorti della decadenza. Osterie convertite ai semilavorati, ristoranti avvitati nella spirale di una stanca routine. Niente di buono sotto le due torri, insomma. Almeno finché Guido Haverkock non ha mandato in scena il suo show food all’ex Teatro Eden dei Portici. E soprattutto Marcello Leoni ha lanciato la sua sfida: espugnare la città prendendo niente meno che Porta Europa, l’avveniristica struttura che cavalca via Stalingrado, appena edificata dall’Unipol, che proprio accanto ha il suo quartier generale. Un rinascimento che avanza di pari passo con il tentativo di rilancio del business cittadino, in un percorso che passa per l’aeroporto e la fiera, magari sulla contestata sopraelevata del people mover, mezzo che guarda caso (o forse no) proprio attorno al ristorante dovrebbe passare. Ne è consapevole Marcello Leoni, che non si sente un kamikaze solitario: “Sentivo gli imprenditori lamentarsi del fatto che in città non ci fosse un ristorante degno di incontri di alto livello. Un’anomalia incomprensibile, se si pensa al ruolo che questa città potrebbe rivestire”.
Si spiega forse così, per un rigurgito di orgoglio felsineo, questa autentica breccia di Porta Europa. Perché di locali così in città non se ne sono mai visti, da quanto negli anni ’80 l’alta cucina ha messo piede in Italia. L’investimento assai cospicuo ad opera della compagnia assicurativa, che ha vestito per l’occasione i panni del mecenate, ha sposato la determinazione dell’ex chef del Sole di Trebbo di Reno, che ha lavorato full time all’allestimento del locale per oltre un anno, dopo i primi contatti caduti nel marzo 2009. Una coraggiosa iniziativa anticiclica mentre tutt’intorno si levano i piagnistei di una recessione che si morde la coda. “Il nostro intento è stato quello di valorizzare al massimo uno spazio che si estende su 1600 metri quadrati. Perché abbiamo pur sempre il diritto di sognare e di tenere fede all’etica e alla deontologia che informano la nostra professione”, rivendica Marcello. “Cercare e ottenere il massimo per quanto attiene alla bellezza della sala come all’equipaggiamento delle cucine e all’eccellenza del prodotto. Non ci si può rassegnare alla crisi”. E i fatti lo premiano, visto che sin dall’apertura nel mese di febbraio il locale è stato praticamente sempre in sold out.
Non che Marcello ignori in quali tempi viviamo, tuttavia. Tanto che a Porta Europa spira pure un vento di bistronomia. Accanto al ristorante gourmand apre i battenti un bistrot, che sarebbe più corretto chiamare osteria con enoteca. In piena sintonia con la bicefalia che orienta la ristorazione internazionale: cuore e portafogli, qualità e prezzi, separati e poi riassemblati con la cucitura di sinergie strategiche. Già visivamente l’impronta è diversa, complici il rosseggiare degli arredi, le decorazioni a forma di insetti sul soffitto e gli oggetti dadaisti della cooperativa Eta Beta disseminati qua e là: bottiglie lavorate da Joan Crous in forma di bicchieri, caraffe, centrotavola ispirati alla balena, casse di vino riconvertite in pattumiere e chi più ne inventa più ne metta, sotto il duplice segno della sostenibilità ambientale e dell’immaginazione al potere. Mentre sul fronte dell’offerta, dall’apertura alle 7 alla chiusura intorno alle 2 sui banconi passano colazioni, aperitivi, pranzi veloci, spuntini, piatti caldi, digestivi e bottiglie da asporto. Ad occuparsi della produzione è la cucina del ristorante gourmand, che sforna porzioni sottovuoto, mentre in loco il personale si limita alla rigenerazione e al servizio. I piatti in carta sono una decina, con un’attenzione particolare per i prodotti dimenticati, oggi al centro di progetti di rivalutazione. Ad esempio la trota bianca, che viene preparata al cartoccio. I coperti (attualmente una sessantina, in attesa che la clemenza meteorologica renda accessibile il pergolato esterno, della capienza di altri 100 posti) vengono apparecchiati ogni giorno, per accogliere in gran parte gli impiegati dei grandi complessi della zona (a mezzogiorno si contano 100-150 pranzi serviti al prezzo di 10 o 15 euro).
“Se dovessi chiarire chi mantiene chi, però, al di là delle aspettative non saprei che rispondere”, commenta Marcello, visto che le strutture sono ambedue in attivo. Il coronamento tanto atteso per un talento fiorito al fianco di Igles Corelli al Trigabolo e Gianfranco Vissani a Baschi.
Mentre si affonda morbidamente nel ventre della balena, fra viscere carezzevoli come tappeti persiani, al riparo di costole sinuose che solcano il tourbillon delle arterie metropolitane, è impossibile che fra i file dei nostri pensieri non si apra il simbolismo del viaggio dentro il grande pesce. Dalla biblica figura di Giona fino all’Astolfo dell’Ariosto e al Pinocchio di Collodi, gli studiosi dicono che rappresenti un rito di passaggio, addirittura un’iniziazione. E l’impressione è che dentro questa pancia capace, simile a una casseruola in transito verso il sapore perfetto, anche la cucina di Marcello sia stata rimasticata e rigenerata dai succhi gastrici della contemporaneità. Ciò che approda in tavola porta sì il marchio dello stile Leoni, che già si era fatto conoscere e apprezzare a Trebbo di Reno, ma anche le stimmate di una nuova consapevolezza. Maturata nei tredici mesi che sono trascorsi fra una chiusura e un’inaugurazione, per lento contagio della location con le sue nuove seduzioni. Pausa quanto mai proficua per un ricominciamento radicale.
Della cucina del vecchio Sole restano gli abbinamenti acrobatici e barocchi, capaci di coniugare il senso della sorpresa con la calibratura millimetrica delle interazioni gustative, la povertà con l’opulenza; contrasti che sembrano caricarsi di una semplicità intrigante, dismettendo certi eccessi d’antan. “Mi sono lasciato influenzare dall’ambiente”, conferma Marcello. “L’ordine, la pulizia, la dominante bianca mi hanno portato a sfrondare tutto quanto non sembrasse essenziale”. Emblematici in questo senso sono i piatti prevalentemente bianchi come l’offerta del pane, dove il proliferare stravagante e un po’ stucchevole dei paninetti aromatizzati ha ceduto il passo alle grandi pezzature delle lievitazioni naturali (nel cestino i grissini affiancano il pane integrale, quello di riso oppure a base di un progenitore del farro, con farine provenienti perlopiù da Mulino Marino).
Sul fronte delle forniture torna il nome della cooperativa Eta Beta, che con i suoi 5 ettari coltivati secondo il metodo biologico provvede a frutta e verdura, rigorosamente stagionali (in futuro seminati anche in accordo con la casa). Oltre a fungere da tramite per i prodotti alloctoni, in arrivo da cooperative consociate attive in altre zone. Fra i suoi compiti anche la pulizia di locali e tessili, compiuta anch’essa in chiave sostenibile, visto che il complesso punta ad azzerare il suo impatto ambientale, grazie all’utilizzo massiccio di legno e all’impianto termico che percorre tutta la struttura, assicurando il massimo dell’efficienza con il minimo della potenza.
Altro fiore all’occhiello è il pesce, regno di Valentina Tepedino, la classica grande donna dietro e a fianco del grande chef. Espertissima del nostro patrimonio ittico, che ha repertoriato in monumentali enciclopedie anti-frode, è la campionessa di un’imprenditoria creativa e femminile, che sta cambiando le carte anche su queste tavole. Grazie alla sua mediazione il pesce del ristorante arriva tutti i giorni dai pescatori, con il risparmio contabile e la freschezza che si lasciano facilmente intuire. Ma nei suoi piani c’è l’allestimento di un consorzio di pescatori che si estenda da Cesenatico a Goro, bypassando i fornitori per dialogare direttamente con i ristoratori. In modo da garantire a chi butta le reti un maggiore guadagno, senza costringerlo a uscire ogni notte per poi gettare il surplus invenduto, con il conseguente overfishing che affligge i nostri mari. Il suo know how si fa sentire anche nel menu, dove spesso e volentieri i feticci a molti zeri delle varietà blasonate sono rimpiazzati da pesciolini umili e saporitissimi, che siano moli o paganelli. Un giacimento largamente inesplorato, in attesa che la rivoluzione culturale degli chef tinga d’argento i desiderata della clientela.
La cella delle carni è appannaggio dei celebrities butchers: Cazzamali per il manzo, Zivieri per i maialini, Moncucco per le piume. Mentre il carrello dei formaggi, disegnato come quelli del pane e dei dolci da Luciano Belcapo, ospita numerose tipologie di provenienza disparata. Il top del momento da qualsiasi parte esso arrivi, con un set di condimenti per giocarci su un po’, dal miele alle mostarde, all’Aceto Balsamico. E sui salumi, settore di scambio strategico con il bistrot, si staglia l’ombra di Spigaroli.
Il risultato è sontuoso. Spicca la zuppa di verza con lime, olive taggiasche e un millefoglie di moli e sfoglia al cacao, assemblaggio di prodotti della memoria contemporaneizzati; nonché la declinazione di maialino in porchetta con salsa alla senape, terrina di testa e piedini e cialda di pelle; ma anche la classica anguilla e l’omaggio alla città in forma di tortellini e passatelli, filologici nella loro perfezione. Il prezzo di tutte le portate è compreso fra i 25 euro dei tagliolini con lumachine di mare, salsa di cardi e cioccolato bianco e i 35 euro dell’astice con cialda di riso allo zafferano e foie gras affumicato. Mentre fra i dessert spicca una reminescenza golosa del Sole: la spuma calda al cioccolato e gelato al wasabi (15 euro), con il suo contrappunto di cremosità rassicuranti e zampate affilate.
I più fortunati potranno assistere alle performance al guéridon dello chef, intento alla porzionatura di anatre alla pechinese e altre sorprese estemporanee da distribuire fra gli ospiti.
le attrezzature di cucina
Le macchine giuste ci sono tutte, è quasi superfluo sottolineare la presenza dei forni combinati Touch, degli abbattitori di temperatura air-o-chill, delle lavastoviglie piuttosto che delle celle e di tutte le attrezzature di supporto… praticamente il meglio della produzione Electrolux Professional.
Il cuore della cucina è una grande Molteni, color canna di fucile ed il colpo d’occhio è veramente imponente! Un blocco centrale dalle grandi capacità produttive, intorno al quale la brigata crea i piatti che arrivano sulle tavole degli ospiti.
Molteni è il sogno avverato di Marcello, che ha sempre detto: “prima o poi lavorerò su una Molteni fatta espressamente per me, come dico io…!”
L’affaccendarsi del personale di cucina, i passaggi da una zona all’altra sono accompagnati dalla morbidezza dei piani unici arrotondati. Niente spigoli, mobili che seguono le inclinazioni delle pareti, che abbracciano saldamente le colonne, spessori di acciaio importanti, facilità di pulizia, banchi frigoriferi che lavorano in silenzio, lasciando tutta la tecnica di produzione del freddo alla grande centrale frigorifera che si trova al piano sottostante. A completamento, un importante banco pasticceria, con piano in marmo, ovunque pensili con il fondo a luci led, per facilitare la visione e la realizzazione di antipasti, ghiottonerie salate, dessert e di tutti i piatti che compongono il menù.
…e se l’organizzazione del lavoro lo permetterà, consigliamo agli ospiti di chiedere a Marcello di poter visitare la cucina. Qualora vi chiedeste inoltre come si è riusciti a far entrare l’imponente blocco e tutte le altre apparecchiature nel misurato spazio….beh, la risposta è, con il duro lavoro e l’abilità di bravi tecnici, da quella che oggi è una vetrata continua!
La sala
L’allestimento del locale porta la firma prestigiosa di Luciano Belcapo (già architetto e arredatore di Gianfranco Vissani), il cui talento sfaccettato prende le mosse dalla lavorazione del legno. Materiale che domina la sala nelle sue tonalità calde e chiare, dai pavimenti alle sculture raffiguranti tre cavalli in volo, che portano la cucina al galoppo per lande inusitate. Il resto del locale, per un gioco tono su tono, accosta cromatismi sulla scala fra il bianco e il crema. Con l’eccezione lussuosa dei bagni, tappezzati di marmi multicolori di origine brasiliana. Mentre sulle pareti spiccano le esposizioni temporanee curate dalle 12 gallerie di Bologna. Il numero di coperti oscilla attorno alla trentina. Ma c’è anche una saletta fumatori con tutte le attrezzature del caso, che conta altri 14 coperti. Più il salottino con libreria all’ingresso. In tavola i bicchieri sono Spiegelau, i tovagliati in lino naturale. Il locale dispone di un ampio parcheggio.
Lo staff
In tutto il personale di Porta Europa conta 30 elementi, 20 al ristorante e 10 al bistrot. Il braccio destro di Marcello, già collaboratore al Sole, si chiama Riccardo Cevenini e sovrintende a una brigata di 12 cuochi suddivisi nelle classiche partite, ciascuna delle quali capitanata da un responsabile. Un’équipe giovanissima che non si smentisce in sala, dove officia il maître Giacomo Garavelli. Familiare in tutti i sensi la presenza della bella Valentina, che non disdegna di vestire i panni eleganti della padrona di casa.
La Cantina
Tanto il bistrot che il ristorante gourmand hanno una cantina del giorno, ben visibile dietro le vetrate dei locali. Ma condividono anche la cantina madre, situata nel piano interrato, cui si accede attraverso scale marmoree nelle quali si riflettono specchiere sterminate. Lo zoccolo duro è rappresentato dal tesoretto un tempo custodito nelle celle del Sole, riposto nella bambagia per il trasloco e coricato sugli scaffali della nuova dimora. Oltre 7.000 etichette, incrementate da Marcello (che cura personalmente la cantina) con acquisti ulteriori, fino a un totale di 20.000 bottiglie, organizzate in carta per regioni, italiane ed europee più una spruzzata di nuovo mondo. Lo chef ha appreso il mansionario al Trigabolo a fianco di Giacinto Rossetti, con cui ha collaborato per un anno in sala, e poi a Trebbo di Reno con il fratello Gianluca (oggi chef del Bistrot 18 in via Clavature), che seguiva spumanti e Champagne. Prevede l’applicazione di ricarichi variabili per ogni singola bottiglia, quasi una curva di crescita personalizzata, che non arriva mai al 100% e decresce con l’aumentare del valore. Le mezze bottiglie non sono una opzione privilegiata della casa, che offre piuttosto una dozzina di etichette da servire al bicchiere. Senza puntare su tipologie particolari, ma con uno sguardo equanime su tutto quanto è buono. Per il dopo cena caffè Attibassi, in omaggio alla città, e una nutrita offerta di distillati: whisky, rhum, Calvados, Bas-Armagnac.
La visita alla cantina, anche a scopo di acquisto, è un’occasione da non perdere. Introdotta da un paio di librerie sul tema, ospita un tavolo per la cena, una zona deputata alla stagionatura dei salumi, un salottino con divanetti e uno schermo, per potere ospitare presentazioni settimanali di vignaioli.