Siamo il popolo del lamento improduttivo e della protesta verbale che quasi mai si traduce con la pratica.
Tra i più frequenti lai, quelli contro il governo ladro e quelli per la perdita dei nostri valori e della nostra identità.
In entrambi i casi, a nessumo si possono attribuire responsabilità se non a noi stessi. I governi li eleggiamo noi, siamo noi che mangiamo sushi e sofficini, siamo sempre noi che disertiamo piazze e cortili affollando i centri commerciali per comprare insulse cineserie, a scapito dei piccoli negozi urbani che chiudono al ritmo di due ogni ora, tre al giorno a Genova, trecento al mese a Roma.
Da alcuni anni i nostri centri storici si sono svuotati di botteghe e negozi al dettaglio, per la crisi, gli affitti che strozzano, la burocrazia, la pressione fiscale, la concorrenza degli ipermercati. Questi piccoli baluardi delle nostre identità chiudono nell’indifferenza di sindaci e amministratori, ben più sensibili alle sirene dei grandi gruppi e degli investimenti immobiliari che intanto snaturano le nostre città.
E mentre noi, con il provincialismo mentale che spesso dimostriamo, ci riversiamo ancora nei “non luoghi” – spazi senza identità, né storia, né possibilità di relazione – già l’America li sta abbandonando a favore del luogo inesistente per eccellenza, ossia il web.
Sembra incredibile che non ci si renda conto che i piccoli negozi e le botteghe artigiane possono essere per i nostri giovani opportunità economiche da rilanciare proprio su internet; che sono i piccoli borghi che conservano intatto il patrimonio completo dei propri bar, piccoli alimentari, verdurai, botteghe di fabbri, falegnami, ceramisti, i più frequentati dai turisti affascinati dalla vita vera che li anima.
E pensare che persino Londra, capitale della grande finanza, protegge le piccole botteghe come patrimonio nazionale e che gli States stanno lasciando alle erbacce il 50% dei centri commerciali per tornare al piccolo commercio nel cuore delle città oppure per privilegiare acquisti on-line. Il futuro sembra dunque avanzare con un movimento retrogrado.
Secondo me proprio quel passato fatto della incomparabile creatività italiana che ci ha resi famosi nel mondo potrebbe generare il nostro rinascimento.
Basterebbe solo lavorarci su, senza lamentarsi inutilmente.