Gli anni ’90 sono stati quelli delle super top model, Naomi Campbell, Cindy Crawford e Claudia Schiffer in testa ad un plotone di famose.
Gli anni 2000 sono stati quelli delle veline, Canalis e Corvaglia tra le più note.
Dieci anni dopo sono i cuochi a condizionare l’immaginario nazionale e forse questa moda durerà un po’ più a lungo perché, se le bellone rappresentano uno stereotipo di carta e un sogno irrealizzabile, gli chef rappresentano un sogno di felicità raggiungibile.
Il cibo è infatti un bene accessibile, forse per questo – in un’epoca in cui sono le paure a dominare le persone (del futuro, del lavoro, degli altrui fondamentalismi, della mancanza di libertà…) – gli chef sono il ponte in grado di traghettare fiducia alla gente.
Oggi finalmente mangiare, parlare e scrivere di piatti e di chef è diventato un bisogno intellettuale legittimato, tanto che il mondo della comunicazione, dalle tv al web, sta massicciamente utilizzando questa forma di cultura popolare come spettacolo, manipolazione del consenso, intontimento collettivo.
Il cibo è il nuovo oppio del popolo e i cuochi, al momento, sono i sui santoni venerati.
Non ci vuole tuttavia una laurea in futurologia per pronosticare che anche questa moda, in quanto tale effimera, non avrà vita lunga, almeno non nelle formule attuali.
Certo, il cibo e i suoi officianti sono fenomeni meno caduchi rispetto a quelli riguardanti lo star system tradizionale, tuttavia mi sento di prevedere che il futuro non vedrà nuovi protagonisti così tanto celebrati come i Bottura, i Cannavacciuolo e i Cracco di oggi.
Come nel caso di tutto ciò che è esaltazione del momento, e quindi esagerazione (i cuochi sono opinionisti, politicanti, attori, testimonial di ogni genere di bene di consumo) anche questa mania collettiva è destinata a scemare e il culto delle personalità a livellarsi.
Nei prossimi anni ci saranno sempre chef straordinari quanto e più di quelli attuali, ma finiranno per stancare tutti quegli spadellamenti fotocopia, esibizioni pubbliche, comparsate continue tanto che, forse, le giacche bianche torneranno là da dove le abbiamo volute strappare: dietro ai fornelli.