Non sono una disfattista e non mi piace la critica aprioristica, eppure mi sento di accogliere con assoluta indifferenza la notizia che lo Stato ha deciso di vendere o affittare 5.500 ettari di terreni agricoli demaniali a giovani agricoltori o agli under 40 intenzionati ad avviare un’impresa agricola. Di per sé, evidentemente, una buona notizia, se non fosse che il nostro Stato ormai ha dimostrato di fare i coperchi ma non le pentole, le cornici ma non i quadri, il fumo ma non l’arrosto.
Liberare finalmente i terreni agricoli pubblici è di per sé cosa buona e giusta, già chiesta con forza dalle associazioni di categoria e prevista persino dal pesantissimo governo Monti.
Ma liberare la terra sostanzialmente improduttiva senza prevedere un piano che ne agevoli l’accesso e l’utilizzo significa creare un’altra sacca di futuri disillusi.
Già il costo: se in Germania un ettaro costa in media 6.500 euro e in Francia 5.500, in Italia l’esborso medio di acquisto sale a 18.000 euro e oltre.
Questo fattore, unito alla burocrazia soffocante, all’impossibilità di accesso al credito presso le banche, alla mancata difesa dei diritti di proprietà, ai mille organismi che snerveranno le aziende con inutili controlli sovrapposti, alla tassazione assassina, all’assenza di un’equa retribuzione del lavoro nei campi e alla presenza, invece, di guadagni assurdi per le troppe aziende intermedie di vendita per il dettaglio, potrebbero bastare a spegnere l’entusiasmo.
Ma il comparto agricolo resta una voce importante del nostro Pil, se solo se ne organizzasse l’effettivo rilancio.
Matteo Renzi, radar notoriamente marketing oriented, ha già suggerito “Ci vorrebbe un Masterchef anche per l’agricoltura”.
Certo un Masterfarmer.
Così fare il contadino sarà più figo che fare lo chef, camicia a quadrettoni surclasserà inamidata giacca Bragard, trattore e stalla soppianteranno forni e torride cucine.
Già me lo vedo, il possessore di braccia restituite all’agricoltura, dimostrare la propria abilità al Carlo Cracco di turno nel preparare il miele al profumo di zenzero con petali di arancia selvatica, menta e fave di Tonka. Dietro di lui, in croma key, la sua fattoria alle falde del Gran Sasso con arnie in batteria, erbe officinali, galline e figli razzolanti nell’aia.
I prodromi di un’inversione di tendenza rispetto alla fuga dalle campagne verso città, uffici e fabbriche di mezzo secolo fa, ci sono tutti: c’è nei giovani una avvertibile voglia di terra, di lavorare per se stessi e all’aria aperta. I dati ufficiali dicono che due ragazzi su tre sognano di lavorare i campi, di partecipare alla vendemmia 2014, di sconfiggere la crisi attraverso l’unico settore probabilmente in grado di contrastarla. Sono il 12% in più gli studenti che si sono iscritti ad agraria quest’anno e il 38% in più quelli che si sono iscritti alla laurea di primo livello in viticoltura ed enologia alla Statale di Milano.
Se davvero, negli anni a venire, non i 5.500 ettari, bensì i totali 330.000 ettari di terreni appartenenti a Stato o Regioni fossero affidati anche gratuitamente a chi volesse prendersene cura, dissesto geologico, speculazione edilizia, cemento selvaggio, discariche abusive, finalmente sarebbero debellati.