Antincendio
alberghi:
un’altra proroga
Nuova proroga per le strutture turistico – ricettive con oltre 25 posti letto, in tema di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi.
Il decreto “Mille Proroghe” ha, infatti, posticipato al 31 dicembre 2012 il nuovo termine (salvo, naturalmente, ulteriori successive proroghe) per adempiere gli obblighi da parte di tutte le strutture che abbiano già avviato e non completato gli adeguamenti e siano state ammesse, previa domanda, al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio approvato con decreto del ministro dell’Interno. Come si legge nel provvedimento normativo, l’ennesima proroga è stata concessa in quanto si “rischia di compromettere l’esercizio di numerose attività in un settore di assoluto rilievo per il Paese”. Sulla scorta del nuovo regolamento sulla prevenzione incendi, ossia il D.P.R. 151/2011, per le strutture ricettive che risulteranno inadempienti scatterà il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione di eventuali effetti dannosi.
Liberalizzazione
orari, tra favorevoli
e contrari
Ha fatto discutere, e non poco, il recente provvedimento del governo “tecnico” guidato da Mario Monti che, tra le altre previsioni, ha sancito la completa liberalizzazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali, compresi bar e ristoranti. Niente più limiti di orari, quindi, per milioni di esercenti; una scelta che ha scatenato un alternarsi di commenti e prese di posizione, alcuni favorevoli, altri invece contrari. Coloro che hanno accolto in maniera positiva il provvedimento, in passato “sperimentato” soltanto nelle località a vocazione turistica, hanno evidenziato che la libertà di orario favorirà la libera concorrenza e incrementerà, in particolare, le opportunità di business per gli esercenti, a tutte le ore e in tutti i giorni, festivi compresi. Sul fronte opposto, i fautori del “no” sostengono che la liberalizzazione avvantaggerà, ancora una volta, le grandi realtà produttive a discapito delle piccole e medie aziende, non sempre in grado di reggere il confronto con le imprese di dimensioni maggiori. Spunti di dibattito e di confronto che rimandano al mercato, come sempre, le risposte ai dubbi sollevati.
Tariffe Tarsu degli alberghi
vanno parificate a quelle per le civili abitazioni
Oneri, balzelli, imposte e tasse. Non è certo facile la vita del contribuente italiano, spesso letteralmente inghiottito dal vortice della famelica burocrazia e del relativo gravoso peso fiscale. Negli ultimi anni si sono, però, susseguite numerose sentenze delle commissioni tributarie che, accogliendo i ricorsi proposti dalle strutture ricettive contro gli atti adottati dagli enti comunali, hanno fornito una bocca d’ossigeno ai gestori degli alberghi e similari: le tariffe Tarsu, la tassa sui rifiuti solidi urbani negli anni più recenti sostituita dalla Tia, la tariffa di igiene ambientale, vanno equiparate a quelle adottate per le civili abitazioni. Troppo spesso, infatti, i comuni applicano tariffe superiori di ben tre, quattro, cinque o addirittura sei volte rispetto a quelle previste per le case. Le commissioni basano, in particolare, le loro pronunce sul dettato normativo, ossia la previsione dell’articolo 68 del decreto legislativo n. 507 del 1993 (istitutivo della Tarsu) che prevede nella stessa categoria tariffaria “locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri”. Ma molti, troppi regolamenti comunali si sono negli anni discostati da tale previsione. Le commissioni che hanno accolto le richieste degli albergatori hanno chiaramente delineato il quadro: le camere di una struttura ricettiva vanno assimilate alle civili abitazioni, una differenziazione della tariffa tra le due tipologie di immobili va, invece, motivata e riferita eventualmente ad altre aree comuni degli alberghi, per esempio ristoranti, bar, cucine.
Ok alle autocertificazioni
ma non per il Durc
L’ordinamento giuridico italiano negli ultimi anni ha registrato una serie di provvedimenti finalizzati a facilitare e semplificare il rapporto tra cittadini ed aziende, da una parte, burocrazia dall’altra. Sempre più documenti e attestazioni sono stati sostituiti dalle autocertificazioni o da un dialogo più serrato tra le diverse pubbliche amministrazioni in modo da non appesantire gli oneri a carico di cittadini ed aziende. Con nota datata 16 gennaio 2012 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha, però, fornito un importante chiarimento a seguito dell’entrata in vigore del nuovo art. 44-bis del d.p.r. 445/2000 il quale ha sancito che “Le informazioni relative alla regolarità contributiva sono acquisite d’ufficio, ovvero controllate ai sensi dell’art. 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore”. La nota precisa che il Durc non può essere assolutamente sostituito con la dichiarazione di regolarità contributiva da parte del soggetto interessato. La nota, in particolare, evidenzia che il Durc “…non è la mera certificazione dell’effettuazione di una somma a titolo di contribuzione ma una attestazione dell’Istituto previdenziale circa la correttezza della posizione contributiva di una realtà aziendale effettuata dopo complesse valutazioni tecniche di natura contabile derivanti dalla applicazione di discipline lavoristiche, contrattuali e previdenziali”. Secondo il ministero, la normativa permette semplicemente che una pubblica amministrazione possa acquisire un DURC (e non un’autocertificazione) da parte del soggetto interessato, la cui veridicità e regolarità potrà essere verificata dalla stessa amministrazione con le medesime modalità previste per la verifica delle autocertificazioni.
Semplificazioni
per acque reflue e impatto acustico
Arriva una serie di semplificazioni degli adempimenti amministrativi in materia ambientale per le micro, piccole e medie imprese. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 227 del 19 ottobre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 3 febbraio, ha introdotto una riduzione di adempimenti per quanto concerne la disciplina delle acque reflue e la documentazione relativa all’impatto acustico. In riferimento alle acque reflue, il provvedimento, ferme restando le previsioni Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (meglio noto come “Nuovo codice dell’ambiente”), assimila alle acque domestiche quelle che, prima di ogni trattamento depurativo, presentino determinate caratteristiche qualitative in termini di Ph, colore, temperatura, di cui alla tabella 1 dell’Allegato A “Criteri di assimilazione alle acque reflue domestiche”, quelle provenienti da insediamenti di produzione di beni o prestazioni di servizi i cui scarichi provengano esclusivamente da servizi igienici, cucine e mense, le acque reflue, infine, provenienti dalle categorie di attività elencate nella tabella 2 dell’Allegato A tra le quali si evidenziano l’attività alberghiera, i rifugi montani, i villaggi turistici, i residence, gli agriturismi, i campeggi, l’attività di ristorazione in generale (anche self-service), l’attività ricreativa e sportiva, le discoteche e sale da ballo, i bar, i caffé, le gelaterie (anche con intrattenimento spettacolo), attività di vendita al dettaglio di generi alimentari o altro commercio al dettaglio. Per tali attività è stata disposta una semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi al rinnovo delle autorizzazioni, qualora non si siano verificate modificazioni rispetto all’autorizzazione già concessa e il titolare dello scarico dovrà, almeno sei mesi prima della scadenza, presentare all’autorità competente una autocertificazione nella quale si attesti che sono rimaste immutate, rispetto alla precedente autorizzazione, una serie di caratteristiche relative allo scarico e al ciclo produttivo. In materia di impatto acustico, invece, il provvedimento introduce alcune semplificazioni documentali, individuando le attività a bassa rumorosità che non sono soggette all’obbligo di presentazione della documentazione di impatto acustico tra le quali si evidenziano, in particolare, l'attività alberghiera e di ristorazione e le attività culturali, turistiche e ricreative. Sussiste, invece, l’obbligo di presentazione della documentazione di previsione dell’impatto acustico di cui all’art. 8 della legge quadro 447/1995 per l’esercizio di ristoranti, bar, pizzerie, mense, attività culturali, ricreative, palestre, stabilimenti balneari che utilizzino impianti di diffusione sonora o svolgano manifestazioni ed eventi con diffusione di musica o utilizzo di strumenti musicali.
Quanto “vale” un insetto nel piatto?
1.000 euro secondo il Tribunale di Roma
Danno da “insetto nel piatto”. Una sentenza, per certi versi “storica”, emanata dal Tribunale di Roma ha riconosciuto, per la prima volta in Italia, il risarcimento del danno a favore di un cliente che consumando un pasto in un pubblico esercizio, abbia avuto la sgradita sorpresa di trovare un piccolo insetto nel piatto. L’organo giudicante, accogliendo la domanda avanzata dal Codacons in nome e per conto della cliente di un bar che nel suo cappuccino aveva trovato un insetto, ha condannato il gestore del bar a corrispondere all’avventrice in via equitativa, a titolo di risarcimento per il danno non patrimoniale subito, l’importo di 1.000,00 euro. Come si legge nella sentenza, in seguito ad apposita denuncia, i Nas confermarono il cattivo stato di pulizia in cui versava il pubblico esercizio, circostanza naturalmente da addebitare al gestore e su cui si basa la motivazione del provvedimento che ha riconosciuto il danno con il conseguente ristoro economico: “Non può non tenersi conto del fatto che la conoscenza diretta del mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie in alcuni locali commerciali aperti al pubblico possa aver generato nell’attrice un turbamento ed un timore per la propria incolumità fisica tale da influire sulle sue ordinarie modalità di vita, inducendola a limitare la frequentazione di locali pubblici per la consumazione di pasti e bevande”.